I diaconi una risorsa per la Chiesa di oggi nei diversi servizi offerti ai fedeli e che con le loro famiglie possono offrire una preziosa testimonianza. E’ quanto è stato sottolineato al XXV Convegno Nazionale dei diaconi in Italia sul tema “La famiglia del diacono scuola di umanità” in preparazione del prossimo Sinodo della Famiglia. Iniziato mercoledì a Campobasso, si è concluso questo sabato con una relazione di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontifica. Tiziana Campisi gli ha chiesto quali contenuti ha sviluppato nella sua relazione “Il diacono servitore di Cristo”:
R. – Ho insistito sul fatto che il diacono, prima di essere servo del parroco e degli uomini, è servo di Gesù Cristo ed è proprio servendo Cristo che serve i fratelli. E poi ho sviluppato alcuni aspetti particolari dell’attività dei diaconi permanenti, del loro ruolo caritativo, del prossimo Anno della Misericordia, del loro ruolo come tramite della misericordia, volto della misericordia della Chiesa presso la gente.
D. – Quella del diacono è una figura antichissima, ma poco nota. Oggi che cosa può offrire alla comunità?
R. – E’ un’istituzione che è stata assente dalla vita della Chiesa per tanti secoli e reintrodotta dal
Concilio Vaticano II e quindi è un’istituzione in fase di rodaggio. Non bisogna meravigliarsi che ancora non abbia trovato tutto l’assetto che - per esempio - ha il clero, che hanno i presbiteri! Però si tratta di una forza dinamica, una novità benefica per la Chiesa, perché - con la scarsità dei sacerdoti sempre più in aumento - questo ufficio del diacono, come rappresentate della Chiesa, annunciatore della Parola, membro attivo nelle opere caritative della Chiesa, è una figura indispensabile. Si parla in genere della promozione del laicato, ma io credo che i diaconi permanenti siano l’elemento di spicco, l’elemento qualificante di questa partecipazione attiva dei laici, pure se loro – a dire la verità – appartengono più al clero come categoria che non ai laici, anche se la loro vita di sposati li pone a tutti gli effetti a livello dei laici. Quindi è un segno dei tempi questo: la promozione dei laici è frutto anche questo del Vaticano II.
D. – Come guardare ai diaconi e come fare riferimento a queste figure nel contesto, appunto, delle comunità cristiane?
R. – Questo dipende un po’ e varia da parte a parte. Io ho più esperienza all’estero che non con il diaconato qui in Italia. In alcuni Paesi è molto sviluppato e i diaconi hanno una funzione, alle volte, di primo piano; in certi Paesi, ad esempio, sono impegnati nell’ecumenismo e sono spesso tramite di dialogo con cristiani di altre confessioni. Molto, in questo, dipende dalla diocesi, dai sacerdoti e dai parroci nel dare loro spazio. Un lamento che raccolgo spesso è che molte volte i sacerdoti fanno fatica a dare spazio, ad assegnare loro dei compiti che non siano semplicemente quelli iniziali delle mense, ma anche compiti – come appare nella figura di Santo Stefano, il protodiacono – di annuncio della Parola: Santo Stefano fu eletto diacono, ma in realtà negli Atti degli Apostoli appare come un uomo predicatore, predicatore di Gesù. Quindi credo che da parte del clero occorre dare spazio e non essere avari nel delegare e nel demandare cose che possono forse fare anche meglio di noi i diaconi permanenti; da parte loro io direi invece che occorre evitare un certo spirito di indipendenza, prendere iniziative personali e non clericalizzarsi, perché c’è anche il pericolo di clericalizzarsi e quindi diventare un doppione del clero, anziché una figura nuova.
D. – Il convegno che lei ha chiuso a Campobasso ha avuto come tema “La famiglia del diacono. Scuola di umanità in preparazione al Sinodo ordinario sulla famiglia”. Quale riscoperta può aversi del diacono all’interno del Sinodo sulla famiglia?
R.- Credo che questo sia davvero un aspetto qualificante della loro missione nella Chiesa: quello di vivere in prima persona i problemi della famiglia, che il clero cattolico – per il suo stato celibatario – conosce solo, diciamolo pure, dai libri. Quindi, i diaconi permanenti – ma non solo, perché c’è tutto il laicato cattolico che può naturalmente portare un contributo su questo campo – hanno un posto speciale nella Chiesa e giustamente si è insistito sulla famiglia del diacono, che rappresenta la novità perché ha un piede nella Chiesa e un piede nella società e nella vita, grazie alla famiglia. Perciò può essere un ponte, può essere il tramite attraverso cui i problemi della famiglia giungono a conoscenza della Chiesa: i problemi veri, reali, concreti, spiccioli e non quelli teorici. Mi auguro che nel Sinodo della famiglia ci siano dei laici che possano portare il loro contributo. Il fatto stesso del diacono sposato, che coltiva la famiglia, che si presenta alla società come uno che condivide i problemi della famiglia di oggi, è una testimonianza grandissima in favore della famiglia e dice che ci può essere una famiglia sana, che vive fino in fondo l’esigenza del Vangelo pur vivendo pienamente la vita di coppia.
R. – Ho insistito sul fatto che il diacono, prima di essere servo del parroco e degli uomini, è servo di Gesù Cristo ed è proprio servendo Cristo che serve i fratelli. E poi ho sviluppato alcuni aspetti particolari dell’attività dei diaconi permanenti, del loro ruolo caritativo, del prossimo Anno della Misericordia, del loro ruolo come tramite della misericordia, volto della misericordia della Chiesa presso la gente.
D. – Quella del diacono è una figura antichissima, ma poco nota. Oggi che cosa può offrire alla comunità?
R. – E’ un’istituzione che è stata assente dalla vita della Chiesa per tanti secoli e reintrodotta dal
Concilio Vaticano II e quindi è un’istituzione in fase di rodaggio. Non bisogna meravigliarsi che ancora non abbia trovato tutto l’assetto che - per esempio - ha il clero, che hanno i presbiteri! Però si tratta di una forza dinamica, una novità benefica per la Chiesa, perché - con la scarsità dei sacerdoti sempre più in aumento - questo ufficio del diacono, come rappresentate della Chiesa, annunciatore della Parola, membro attivo nelle opere caritative della Chiesa, è una figura indispensabile. Si parla in genere della promozione del laicato, ma io credo che i diaconi permanenti siano l’elemento di spicco, l’elemento qualificante di questa partecipazione attiva dei laici, pure se loro – a dire la verità – appartengono più al clero come categoria che non ai laici, anche se la loro vita di sposati li pone a tutti gli effetti a livello dei laici. Quindi è un segno dei tempi questo: la promozione dei laici è frutto anche questo del Vaticano II.
D. – Come guardare ai diaconi e come fare riferimento a queste figure nel contesto, appunto, delle comunità cristiane?
R. – Questo dipende un po’ e varia da parte a parte. Io ho più esperienza all’estero che non con il diaconato qui in Italia. In alcuni Paesi è molto sviluppato e i diaconi hanno una funzione, alle volte, di primo piano; in certi Paesi, ad esempio, sono impegnati nell’ecumenismo e sono spesso tramite di dialogo con cristiani di altre confessioni. Molto, in questo, dipende dalla diocesi, dai sacerdoti e dai parroci nel dare loro spazio. Un lamento che raccolgo spesso è che molte volte i sacerdoti fanno fatica a dare spazio, ad assegnare loro dei compiti che non siano semplicemente quelli iniziali delle mense, ma anche compiti – come appare nella figura di Santo Stefano, il protodiacono – di annuncio della Parola: Santo Stefano fu eletto diacono, ma in realtà negli Atti degli Apostoli appare come un uomo predicatore, predicatore di Gesù. Quindi credo che da parte del clero occorre dare spazio e non essere avari nel delegare e nel demandare cose che possono forse fare anche meglio di noi i diaconi permanenti; da parte loro io direi invece che occorre evitare un certo spirito di indipendenza, prendere iniziative personali e non clericalizzarsi, perché c’è anche il pericolo di clericalizzarsi e quindi diventare un doppione del clero, anziché una figura nuova.
D. – Il convegno che lei ha chiuso a Campobasso ha avuto come tema “La famiglia del diacono. Scuola di umanità in preparazione al Sinodo ordinario sulla famiglia”. Quale riscoperta può aversi del diacono all’interno del Sinodo sulla famiglia?
R.- Credo che questo sia davvero un aspetto qualificante della loro missione nella Chiesa: quello di vivere in prima persona i problemi della famiglia, che il clero cattolico – per il suo stato celibatario – conosce solo, diciamolo pure, dai libri. Quindi, i diaconi permanenti – ma non solo, perché c’è tutto il laicato cattolico che può naturalmente portare un contributo su questo campo – hanno un posto speciale nella Chiesa e giustamente si è insistito sulla famiglia del diacono, che rappresenta la novità perché ha un piede nella Chiesa e un piede nella società e nella vita, grazie alla famiglia. Perciò può essere un ponte, può essere il tramite attraverso cui i problemi della famiglia giungono a conoscenza della Chiesa: i problemi veri, reali, concreti, spiccioli e non quelli teorici. Mi auguro che nel Sinodo della famiglia ci siano dei laici che possano portare il loro contributo. Il fatto stesso del diacono sposato, che coltiva la famiglia, che si presenta alla società come uno che condivide i problemi della famiglia di oggi, è una testimonianza grandissima in favore della famiglia e dice che ci può essere una famiglia sana, che vive fino in fondo l’esigenza del Vangelo pur vivendo pienamente la vita di coppia.
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