Davide e Nabal |
Per questo Gesù invia gli apostoli "prudenti e semplici", afferrati completamenti dalla sua Parola da annunziare senza orpelli e glosse mondane; la "prudenza" che sa discernere gli eventi, e in essi svelare l'opera di salvezza di Dio e quella distruttiva del demonio. Un padre e una madre sono inviati ogni istante ai propri figli come apostoli prudenti e semplici, "senza idee proprie", con la sola Parola di Dio ad illuminare, correggere, e, soprattutto, ad amare; solo così potranno essere sempre e in ogni circostanza una Buona Notizia, un Vangelo di Verità e misericordia per i propri figli, nella libertà che sorge dalla semplicità e dalla prudenza. E, con i genitori, anche ciascuno di noi con i propri amici, con la fidanzata e il fidanzato, con i parenti, con chiunque, "sempre pronti a dare ragione della fede" che illumina e discerne il dito di Dio tra I flutti spesso violenti della storia. Solo un apostolo semplice e prudente saprà stare nella pace e potrà annunciare con coraggio e misericordia il Vangelo che "lo Spirito" farà sorgere sulle sue labbra, anche dinanzi alle difficoltà più grandi, ai turbamenti, ai peccati e ai rifiuti di coloro ai quali è inviato, "ai loro tribunali", alle "flagellazioni nelle loro sinagoghe", "davanti ai governatori e ai re" della cultura e del potere di questa società. Tutto ciò che accade agli Apostoli è "per causa" di Cristo, "per dare testimonianza a loro e ai pagani". Ogni secondo della nostra vita è legato alla missione e per il suo bene. Siamo, con gli Apostoli di ogni generazione, il suo vessillo innalzato sul mondo, una profezia di verità sulle tenebre della menzogna. Ma le tenebre non hanno accolto la luce, non possono. Per il mondo vi è una sola salvezza, quella che è stata anche per noi: la Croce del Signore, le sue braccia distese sul male. Non v’è "nulla da pre-occuparsi", non c'è tempo per "occuparsi" in anticipo di ciò che è ancora nella mente di Dio; non siamo noi a dirigere e ispirare la sua volontà: lo Spirito Santo, il respiro e il pensiero di Dio in noi opereranno in ogni occasione compiendo il piano d'amore del Padre. Unica "occupazione", istante dopo istante, è per noi restare aggrappati al Signore, perché il suo amore colmi ogni spazio della nostra vita. Sappiamo come San Paolo che non ci aspettano altro che catene e persecuzioni, incomprensioni e odio. Il Vangelo è chiaro e duro: "sarete odiati da tutti". Ma come, non dovremmo farci accettare, cercare soluzioni e mediazioni, pazientare e dialogare? Il demonio è abilissimo a confondere le acque e a mettere tutto nello stesso calderone. La pazienza e la misericordia non sono opzioni strategiche per prevenire il rifiuto e le persecuzioni. In questo caso sarebbero delle caricature, atteggiamenti ipocriti di chi non ha a cuore la salvezza dell'altro ma solo il proprio successo e il salvare la pelle. Pazienza e misericordia invece sono le attitudini del cuore dell'apostolo che ha annunciato il Vangelo a "tutti", la carità più grande, ed è stato, da "tutti" odiato e rifiutato. Se l'apostolo vive la vita di Cristo in ogni circostanza, essa si rivela a "tutti" quelli che incontra, senza adeguarla e scolorirla per renderla commestibile alla carne dell'altro. E sempre incontrerà resistenza e odio, perché la carne non accetta lo Spirito, gli muove guerra; in "tutti" c'è qualcosa che rifiuta Cristo, quando l'annuncio raggiunge la famiglia e il modo di educare i figli, il rapporto con il denaro, le situazioni incancrenite di peccato. Per questo "il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire". Ma se la carne non è punta dal Vangelo e non lascia fuoriuscire il pus che in essa si nasconde, non può essere salvata. Se la verità non raggiunge la menzogna e non la denuncia, colui che vive nelle tenebre resterà schiavo. Solo quando il Vangelo plana sulla morte e la svela, come ad esempio Gesù ha fatto in occasione degli esorcismi, esso diviene fonte di salvezza e può compiere con potenza ciò che annuncia. E' inevitabile che i demoni, stanati e attaccati, si agitino e odino Cristo: è un aspetto inevitabile e insostituibile della missione della Chiesa. Solo chi non ama e cerca nella Chiesa la propria realizzazione fugge dall'annuncio autentico della Croce, legato indissolubilmente a quello della resurrezione. Dove non c'è denuncia dei peccati non c'è buona notizia, perché dove la morte non appare anche la resurrezione diviene inutile. La "perseveranza sino alla fine" è il frutto dell'intimità con Cristo che ci dona il discernimento semplice e prudente di ogni evento, in famiglia, al lavoro, nelle relazioni personali; esso ci indicherà in ogni circostanza l’occasione per rendere testimonianza: nessun istante della nostra vita è inutile, perché ciascuno, anche quelli più tristi e noiosi, costituiscono l'occasione per offrire noi stessi al martirio che salva questa generazione. Un dolore di denti, un'umiliazione sul lavoro, la solitudine, tutto è santo perché ogni istante è un frutto preziosissimo della Passione del Signore, maturo per essere mangiato da tutti coloro che, affamati e accecati, hanno smarrito la vita. Stiamone certi, Lui ci verrà incontro e ci porterà con Lui, già qui quando riterrà opportuno che "fuggiamo in un'altra città" senza ostinarci a voler convertire le persone, quando esse si ostinano nel rifiuto, lasciando a ciascuno la libertà che il Padre ha donato sin dal principio. Ma Gesù verrà "prima" di quanto pensiamo, nel mezzo della vita spesa in missione nelle nostre "città", e si manifesterà con potenza confermando il Vangelo annunciato: è Lui che compie l'opera dell'apostolo, ogni giorno; forse a noi non sarà dato di vederlo, ma non importa, perché quando Lui giungerà alla nostra vita, il suo amore ci colmerà, consolerà e rallegrerà, sera dopo sera, sino all'ultima che ci schiuderà il riposo che attende ogni umile lavoratore della sua vigna: "Sparso il seme del Vangelo mediante la sua presenza corporale, subì la passione e la morte e risuscitò, mostrando con la passione ciò che dobbiamo sopportare per la verità, con la risurrezione ciò che dobbiamo sperare nell’eternità" (S. Agostino. De civ. Dei XVIII, 49).
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