di CostanzaMiriano

Quella stessa civiltà che però poi ha rifiutato Dio, ha messo al centro l’individuo con tutti i suoi desideri ma senza alcun senso del limite, e che poi, imbolsita dalla sazietà, ha deciso di suicidarsi. In
questo quadro desolante la cosa bella è che quello che sta succedendo – terrorismo (di cui i media tendono ad ampliare le dimensioni), crisi di economia e di senso – può essere per noi un’occasione di conversione. Sia per le folle, quelle a cui Gesù guardava con tenerezza perché erano “come pecore senza pastore”, che per noi che forse il pastore lo abbiamo intravisto nella nostra ricerca. Tornare a essere cristiani come unica risposta possibile. L’importante è sapere che quello che noi dobbiamo difendere con orgoglio e con tutte le nostre forze non sono un’identità o dei valori (“valori cristiani” è un’espressione che non significa niente, o meglio, che non significa la cosa più importante): quello che noi dobbiamo cercare, con il cuore dolorante di desiderio, è un incontro con Cristo, che dia senso a tutto quello che viviamo, che salvi ogni cosa sulla terra, perché ogni cosa è redenta dall’amore di Cristo, se riconsegnata a lui. Così è nata la nostra civiltà, non dall’orgoglio identitario ma dalle catacombe, e più tardi da un incontro con Cristo che i monaci facevano nel silenzio e nella preghiera, ed era la ricerca di Cristo a far desiderare loro di curare i malati, costruendo gli ospedali, di tramandare la sua parola, creando biblioteche, di raffigurare Dio o il desiderio di lui, e così è nata tutta l’arte fino a quella contemporanea (che infatti è tendenzialmente brutta, perché un tempo era l’uomo che cercava, come poteva, di raccontare la sua ricerca di Dio, poi invece ha cominciato a raccontare la sua ricerca di se stesso, piccolo omuncolo che non può certo far battere di bellezza i cuori di generazioni nei secoli).

Noi cristiani abbiamo come simbolo la croce non come strumento di morte, ma di vita. È davvero la croce che ci salva. È una verità non solo teologica e spirituale, ma anche storica, sociologica, e psicologica. La fatica è necessaria al nostro benessere, al nostro equilibrio, ed è una verità anche per chi non crede, perché tutte le verità di fede (come che è la croce che redime) sono anche verità umane. L’uomo ha bisogno di fare qualcosa di impegnativo per provvedere a sé, l’abbondanza ci lascia nell’inquietudine. Soprattutto, è più difficile che cerchiamo Dio, fino a che non abbiamo bisogno di alzare gli occhi verso di lui per chiedergli aiuto per qualcosa, e non parlo solo di bisogno economico. Nella prosperità – dice la Bibbia – l’uomo non comprende.
Possiamo ancora salvarci, il suicidio è in corso ma il laccio intorno al collo si può allentare. L’unica via, però, come ha scritto un lucidissimo monsignor Negri, è non puntellare l’impero, ma rifare il cristianesimo. E non rifarlo in senso orgogliosamente identitario. Piuttosto con una umile silenziosa conversione prima di tutto personale, pronta a diventare fatto pubblico non appena le circostanze ce lo chiedono, come è stato per esempio per i family day (quando ci sono i deboli in pericolo, allora sì che bisogna tirar fuori le unghie, non per orgoglio identitario ma per il dovere di difenderli).
So che una delle cose meno necessarie del momento è un’altra politologa autodidatta che dica la sua sui cambiamenti epocali che abbiamo sotto gli occhi – una civiltà che muore, qualcuno che la azzanna da fuori, la suddetta civiltà colta da afasia che balbetta paroline generiche sulla fratellanza generale, e che non riesce a chiamare le cose col proprio nome. Lo so, ma. Ma non se ne può più della retorica delle candeline e dei gessetti colorati, dei vaghi sentimenti di fratellanza politicamente corretti, per cui vanno tutti bene purché non siano maschi eterosessuali cattolici. Lo so ma non possiamo difendere con orgoglio i nostri centri commerciali, la nostra ignoranza, la nostra dipendenza tecnologica e la nostra incapacità di provvedere a noi stessi. Non abbiamo molto di serio da difendere. Guardiamo in faccia al fatto che siamo al declino e che su una nave che fa acqua così tanto non ha senso riparare le falle ma salire su una scialuppa e portare in salvo le cose più preziose. Salvare il seme, salvare quello che può farci vivere ancora, e avere il coraggio di accettare il crollo, sapendo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio.
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