Entriamo nella macchina del tempo, impostiamo come anno per il nostro viaggio temporale il 2031, giriamo per tutte le chiese di Italia e infine diamo un’occhiata in bacheca dove sono esposti, nell’albo parrocchiale, gli annunci matrimoniali. Quello spazio sarà vuoto. Questo è almeno quanto sostiene una ricerca del Censis chiamata in modo significativo “Non mi sposo più”. Il 2031 sarebbe dunque il ground zero dei matrimoni religiosi, l’anno in cui in Italia non si celebreranno più matrimoni in chiesa.
Il Censis non ha fatto altro che registrare l’andamento comatoso delle nozze davanti al sacerdote. Nel 2004 si sono celebrati circa 170.000 riti matrimoniali religiosi. Dieci anni dopo 108mila. Vuol dire 62mila in meno. E se andiamo indietro nel tempo scopriamo che nel 1994 si contavano 128mila matrimoni canonici in più rispetto al 2014. Quindi in soli vent’anni c’è stato un crollo del 54%.
Massimiliano Valerii, direttore del Censis, spiega così la previsione della futura morte del matrimonio religioso: «Noi abbiamo proiettato in avanti le tendenze degli ultimi vent'anni, e lo scenario futuro è quello di un'Italia a matrimonio religioso zero. Un dissolvimento totale di questa istituzione, perché ormai la crisi è globale, e riguarda sia i riti civili, che hanno smesso di crescere, sia in particolare quelli in chiesa, che sono in caduta libera. In pratica abbiamo visto che tra il 1994 e il 2014 si si sono “perduti” 128mila matrimoni religiosi, cioè 6.400 all'anno. E lo scorso anno i riti in chiesa sono stati 108mila. Ecco: se, partendo da questo dato, togliamo ogni anno 6.400 cerimonie, il risultato è che in 17 anni, cioè nel 2031, i matrimoni benedetti dal prete saranno azzerati».
L’istituto del matrimonio è dunque moribondo, sia quello civile sia quello religioso. Infatti, calano i primi e i secondi, ma le nozze davanti all’altare calano con maggior rapidità. Se è vero che il rito religioso a livello nazionale ancora sopravanza quello civile – 57% contro il 43% (dati Istat sull’anno 2014) - il sorpasso a favore di quello civile è imminente. Tanto è vero che nel Nord il “Sì lo voglio” pronunciato in Comune ammonta al 55% e al Centro siamo al 51%.
Si obietterà: «calano i matrimoni, perché c’è il crollo demografico: meno giovani, uguale meno matrimoni». Questo è vero in parte. Infatti, se andiamo a vedere, al di là della diminuzione demografica del Paese, quanti uomini e donne su 1.000 si sono sposati nel 2014 rispetto al 2008, scopriamo che c’è stata una diminuzione del 19%. Ciò a dimostrazione che esiste una reale minor propensione a sposarsi.
Quali le cause soprattutto del calo dei matrimoni religiosi? Non serve il Censis per capire che il secolarismo determina la morte di qualsiasi sacramento, matrimonio compreso. Ai giovani potete promettere comunione senza limiti, anche nel caso in cui si arrivi al divorzio, benedizione delle coppie di fatto perché vendute come un giro di prova per verificare che lui o lei non abbiano difetti di fabbrica, accoglienza, solidarietà, inclusività, integrazione e tutto il pacchetto del misericordiosamente corretto per svendere il matrimonio sacramentale a prezzi stracciati, ma ahinoi non servirà a niente. Perché se perdi la fede, non ne vuoi più sapere nulla di tutto ciò che sa di incenso.
Poi vi sono altre patologie che hanno intaccato in modo letale l’organismo del matrimonio di per se stesso considerato e che quindi interessano anche i matrimoni civili. Il fatto che il matrimonio non è più inteso come uno status sociale, un punto di arrivo; che i figli sono ugualmente tutelati sia che nascano dentro o fuori il matrimonio; che hai sostanzialmente gli stessi diritti sia che tu conviva che tu ti sposi: la Cirinnà, che ha legittimato anche le convivenze oltre alle Unioni civili, in questo senso è legge inutile, dato che già moltissimi diritti erano stati riconosciuti ai conviventi sia dal Parlamento sia dai tribunali. Anzi se ti sposi hai degli oneri che come coppia di fatto non hai. Ed infatti le convivenze sono raddoppiate dal 2008, decuplicate dal 1993.
Ma c’è un motivo che forse più di altri è stato capace di tracciare un epitaffio sulla lapide del matrimonio, un motivo ben descritto dal direttore del Censis: «forse è il dato sentimentale a vincere: per i giovani quello che conta è la relazione autentica, senza vincoli formali, e cioè un libero patto d'amore». Ciò spiega tra l’altro l’ascesa numerica sia delle convivenze sia dei divorzi. Il matrimonio viene inteso come gabbia formale, come rito burocratico che certifica con tanto di carta bollata quell’amore che di suo non ha bisogno della verifica amministrativa o ecclesiale di nessuno perché realtà di carattere privatissimo ed affettivo. Il vincolo matrimoniale non viene interpretato più come fonte di diritti e doveri, tra i coniugi e tra questi e la società, e come luogo privilegiato, perché capace di fornire garanzie di stabilità, per mettere al mondo i figli. Due aspetti che necessitano di circoscrivere formalmente la nascita di una relazione di coppia, cioè la nascita del matrimonio.
Ciò che si privilegia è invece l’elemento intimistico, la vita a due, il mero dato sentimentale ed emozionale. Il vincolo formale, soprattutto se indissolubile, entra in rotta di collisione con la liquidità dei sentimenti, con la volubilità intesa erroneamente come libertà personale, con la precarietà delle relazioni ormai vissuta come inevitabile in ogni rapporto perché fondata non più sulla volontà (amare è volere il bene della persona ci dice Aristotele) – volontà che supera le eventuali mancanze affettive - ma sul fato (“stiamo insieme finchè funziona”), il quale fato è per paradosso l’antitesi della libertà personale.
Ma chi ama vuole la forma, cioè vuole sigillare con un segno di alto significato il proprio amore e amare significa dire all’altro: «ci sei solo tu e tu per sempre». Espressione che racchiude le uniche due proprietà che fanno il matrimonio: l’unità e l’indissolubilità. Chi non ama non vorrà mai legarsi a vita a una sola persona e di conseguenza fuggirà a gambe levate davanti al matrimonio, davanti alla certificazione bianco su nero che hai scelto quella persona, e solo quella, per tutta la tua vita.
Il Censis non ha fatto altro che registrare l’andamento comatoso delle nozze davanti al sacerdote. Nel 2004 si sono celebrati circa 170.000 riti matrimoniali religiosi. Dieci anni dopo 108mila. Vuol dire 62mila in meno. E se andiamo indietro nel tempo scopriamo che nel 1994 si contavano 128mila matrimoni canonici in più rispetto al 2014. Quindi in soli vent’anni c’è stato un crollo del 54%.
Massimiliano Valerii, direttore del Censis, spiega così la previsione della futura morte del matrimonio religioso: «Noi abbiamo proiettato in avanti le tendenze degli ultimi vent'anni, e lo scenario futuro è quello di un'Italia a matrimonio religioso zero. Un dissolvimento totale di questa istituzione, perché ormai la crisi è globale, e riguarda sia i riti civili, che hanno smesso di crescere, sia in particolare quelli in chiesa, che sono in caduta libera. In pratica abbiamo visto che tra il 1994 e il 2014 si si sono “perduti” 128mila matrimoni religiosi, cioè 6.400 all'anno. E lo scorso anno i riti in chiesa sono stati 108mila. Ecco: se, partendo da questo dato, togliamo ogni anno 6.400 cerimonie, il risultato è che in 17 anni, cioè nel 2031, i matrimoni benedetti dal prete saranno azzerati».
L’istituto del matrimonio è dunque moribondo, sia quello civile sia quello religioso. Infatti, calano i primi e i secondi, ma le nozze davanti all’altare calano con maggior rapidità. Se è vero che il rito religioso a livello nazionale ancora sopravanza quello civile – 57% contro il 43% (dati Istat sull’anno 2014) - il sorpasso a favore di quello civile è imminente. Tanto è vero che nel Nord il “Sì lo voglio” pronunciato in Comune ammonta al 55% e al Centro siamo al 51%.
Si obietterà: «calano i matrimoni, perché c’è il crollo demografico: meno giovani, uguale meno matrimoni». Questo è vero in parte. Infatti, se andiamo a vedere, al di là della diminuzione demografica del Paese, quanti uomini e donne su 1.000 si sono sposati nel 2014 rispetto al 2008, scopriamo che c’è stata una diminuzione del 19%. Ciò a dimostrazione che esiste una reale minor propensione a sposarsi.
Quali le cause soprattutto del calo dei matrimoni religiosi? Non serve il Censis per capire che il secolarismo determina la morte di qualsiasi sacramento, matrimonio compreso. Ai giovani potete promettere comunione senza limiti, anche nel caso in cui si arrivi al divorzio, benedizione delle coppie di fatto perché vendute come un giro di prova per verificare che lui o lei non abbiano difetti di fabbrica, accoglienza, solidarietà, inclusività, integrazione e tutto il pacchetto del misericordiosamente corretto per svendere il matrimonio sacramentale a prezzi stracciati, ma ahinoi non servirà a niente. Perché se perdi la fede, non ne vuoi più sapere nulla di tutto ciò che sa di incenso.
Poi vi sono altre patologie che hanno intaccato in modo letale l’organismo del matrimonio di per se stesso considerato e che quindi interessano anche i matrimoni civili. Il fatto che il matrimonio non è più inteso come uno status sociale, un punto di arrivo; che i figli sono ugualmente tutelati sia che nascano dentro o fuori il matrimonio; che hai sostanzialmente gli stessi diritti sia che tu conviva che tu ti sposi: la Cirinnà, che ha legittimato anche le convivenze oltre alle Unioni civili, in questo senso è legge inutile, dato che già moltissimi diritti erano stati riconosciuti ai conviventi sia dal Parlamento sia dai tribunali. Anzi se ti sposi hai degli oneri che come coppia di fatto non hai. Ed infatti le convivenze sono raddoppiate dal 2008, decuplicate dal 1993.
Ma c’è un motivo che forse più di altri è stato capace di tracciare un epitaffio sulla lapide del matrimonio, un motivo ben descritto dal direttore del Censis: «forse è il dato sentimentale a vincere: per i giovani quello che conta è la relazione autentica, senza vincoli formali, e cioè un libero patto d'amore». Ciò spiega tra l’altro l’ascesa numerica sia delle convivenze sia dei divorzi. Il matrimonio viene inteso come gabbia formale, come rito burocratico che certifica con tanto di carta bollata quell’amore che di suo non ha bisogno della verifica amministrativa o ecclesiale di nessuno perché realtà di carattere privatissimo ed affettivo. Il vincolo matrimoniale non viene interpretato più come fonte di diritti e doveri, tra i coniugi e tra questi e la società, e come luogo privilegiato, perché capace di fornire garanzie di stabilità, per mettere al mondo i figli. Due aspetti che necessitano di circoscrivere formalmente la nascita di una relazione di coppia, cioè la nascita del matrimonio.
Ciò che si privilegia è invece l’elemento intimistico, la vita a due, il mero dato sentimentale ed emozionale. Il vincolo formale, soprattutto se indissolubile, entra in rotta di collisione con la liquidità dei sentimenti, con la volubilità intesa erroneamente come libertà personale, con la precarietà delle relazioni ormai vissuta come inevitabile in ogni rapporto perché fondata non più sulla volontà (amare è volere il bene della persona ci dice Aristotele) – volontà che supera le eventuali mancanze affettive - ma sul fato (“stiamo insieme finchè funziona”), il quale fato è per paradosso l’antitesi della libertà personale.
Ma chi ama vuole la forma, cioè vuole sigillare con un segno di alto significato il proprio amore e amare significa dire all’altro: «ci sei solo tu e tu per sempre». Espressione che racchiude le uniche due proprietà che fanno il matrimonio: l’unità e l’indissolubilità. Chi non ama non vorrà mai legarsi a vita a una sola persona e di conseguenza fuggirà a gambe levate davanti al matrimonio, davanti alla certificazione bianco su nero che hai scelto quella persona, e solo quella, per tutta la tua vita.
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