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mercoledì 31 maggio 2017

Un enorme drago sulla cattedrale di Metz. Le chiese usate come specchio per il vuoto dell'Occidente


Non amo le polemiche ma, sinceramente, mi chiedo quale sia l'anima dell'Occidente. L'uomo medioevale che aveva un forte senso del simbolo non avrebbe mai acconsentito di far dipingere sulla facciata di una chiesa (visto che allora non si poteva proiettare) simboli come un dragone il quale, letto nell'ottica biblica ha un solo significato...
L'uomo medioevale lo avrebbe considerato quanto meno blasfemo, se non rivoltante. Se oggi tutto ciò lo si permette in nome della cultura, è segno che, dietro a tante belle chiacchiere, si ha perso il senso del sacro. Dopo decenni di prediche, da parte di molti chierici e teologi progressisti, che il sacro non esiste più, mi sembra il risultato più logico.
(Ndr: nella foto, una immagine della proiezione che verrà fatta sulla facciata della cattedrale di Metz, in Francia, il prossimo 30 giugno, a opera del gruppo di artisti EZ3kiel guidati Yann Nguema. Nel video, il gioco di luci realizzato nel 2016 dallo stesso gruppo sulla facciata della cattedrale di Saint-Jean a Lione. Per l'evento di Metz, vedere qui
ATTRAVERSO LA CHIESA NOSTRA MADRE CRISTO CI VISITA FACENDO DANZARE DI GIOIA LA NOSTRA VITA


Il Signore viene a visitarci. E si avvicina a noi sempre attraverso una carne concreta, il seno purissimo di Maria, tabernacolo della presenza di Dio tra noi. E' sempre Lei che ci visita, ambasciatrice dell'amore di Dio. E' Lei che ci dona il Signore, celato nelle Sue castissime viscere. Lei è l'immagine più fedele della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo. Per noi, da sempre. E oggi, e domani. Dio incarnato, Dio adagiato nel seno d'una donna, Dio disceso alla nostra vita, Dio che visita e impregna le nostre ore. Dio incarnato nelle nostre carni incamminate nella storia. Maria è lo specchio fedele di quello che accade ogni giorno nelle nostre povere vite. In noi è già seminato il miracolo di una vita celeste, come lo fu Giovanni per Elisabetta. Proprio ora è vivo in noi qualcosa che le nostre forze, le nostre opere, i nostri desideri non hanno avuto il potere di generare. Sterili siamo, come ogni uomo, incapaci di darci vita, e di donarla. Sterili per accogliere la Grazia feconda di Dio. Come Elisabetta intuiamo ma abbiamo bisogno d'una visita, perché il miracolo di Grazia si schiuda in un canto di lode. Viviamo l'amore di Dio dentro di noi, ne sentiamo spesso tutta la portata soprannaturale, proprio come una donna incinta vive ogni cosa in modo particolare, come afferrata da una presenza interna, misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge. Con Elisabetta abbiamo bisogno di Maria. E Maria è la Chiesa, il suo saluto che risuona nel profondo è l'annuncio che il nostro cuore attende senza posa, la Parola capace di sciogliere in noi quello che, da sempre, la Grazia ha seminato. La Parola che muove in noi la Vita in un sussulto di gioia.E' l'annuncio che desta la gioia: Dio s'è fatto carne nella nostra carne, proprio nelle vicende che ci visitano per coinvolgerci, la storia nostra di ogni giorno. Maria è il mistero della nostra vita racchiuso nella dolcissima fanciulla di Nazaret, perché nella storia vibra l'eco dell'annuncio della Chiesa. Ed è vero che fuori della Chiesa non v'è salvezza, perché in ogni istante della storia che scorre in ciascun angolo della terra risuona la Parola, unica, di salvezza, Cristo Gesù, nascosto nel seno verginale di Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra. Con la sua voce, la Chiesa abbraccia l'universo in attesa della salvezza, mentre la storia diviene il tabernacolo del Figlio incarnato. Da quel giorno a Nazaret, quando Dio ha deposto il suo seme nel seno di Maria, nulla è più lo stesso. Tutta la storia, passata, presente e futura, è stata inondata da una Grazia nuova, e tutte le cose sono state rinnovate, perché il Signore, l'Emmanuele, ha preso dimora in ogni istante del tempo. Tutto di noi, dunque, è stato miracolosamente santificato, salvato, redento. Il mistero nascosto agli angeli è stato svelato, l'uomo è salvo. La vita non è più una corsa verso la morte. Il Cielo s'è dischiuso dinanzi ad ogni uomo, e per questo, ogni esistenza, anche quella che appare più distrutta dal peccato, anche quella che odora di morte, è pronta ormai per essere salvata. Un annuncio, una parola, la visita di Maria e quello che era perduto sarà riscattato. I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo. I "passi" degli eventi stessi che abbracciano ogni uomo in un saluto di Pace, sono nient'altro che la rivelazione del progetto di Dio: "Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il Signore: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza" (Ger. 29,11). Shalom! Il saluto di Maria che sveglia la gioia nel seno di Elisabetta, che svela l'amore nascosto in ogni evento, in ogni persona che corre al nostro incontro. Shalom ci annuncia la moglie, anche quando ci sta rinfacciando qualcosa. Shalom ci annuncia il marito, anche quando, schiavo del perfezionismo, torna a casa e vorrebbe il mondo ai suoi piedi. Shalom ci annuncia il figlio che non ci degna di uno sguardo, immerso nella presa tentacolare del suo smartphone. Shalom ci annuncia il collega che trama ipocritamente alle nostre spalle. Shalom ci annunciano le analisi sballate appena ritirate all'ambulatorio. Shalom ci annuncia la Borsa che crolla, il benzinaio che espone il prezzo della benzina, l'ennesima lettera che rifiuta il nostro curriculum. Shalom ci annunciano gli istanti che ci attendono, visitano e abbracciano. Shalom mentre per il mondo tutto questo significa una dichiarazione di guerra, e arma l'ira, la ribellione, l'indignazione, i sentimenti di giustizia, le invidie, le gelosie, l'odio. Pace dice a noi la storia, dove e quando per il mondo è guerra. Pace perché nella carne è disceso Dio, e tutto, ma proprio tutto è ormai divino, parte misteriosa di un Cielo che non conosciamo ma che possiamo cominciare a sperimentare. Pace! Il saluto di Maria che profetizza e anticipa il saluto del Figlio agli apostoli impauriti, il saluto di Colui che ha vinto il peccato e la morte e ha distrutto il muro che separava l'umanità da Dio e dal suo Regno: Pace!, il saluto che con cui il Cielo ci viene a visitare per attirarci nella vita nuova dei beati, pegno e garanzia qui sulla terra del destino che ci attende. Pace!, il saluto di Maria che ci introduce in una dimensione nuova, nella libertà che può gustare solo chi, colmo dell'amore di Dio più forte del peccato e della morte, può discernere in ogni evento e persona, anche quelli che la carne cataloga come tristi e che vorrebbe sfuggire, il luogo e il tu dove donarsi, consegnarsi senza riserve, nella certezza che proprio lì, dove non vorrebbe andare, vi è la Vita che non muore, la gioia incorruttibile, la Pace che supra ogni intelligenza. La Pace conquistata da Gesù nel Getsemani a prezzo della sua angoscia che ha assunto ogni nostra angoscia, per fare di ogni Getsemani che ci attende il Cenacolo dove essere visitati dalla sua vittoria eterna. Pace! Il saluto di Maria che ridesta la gioia che abbiamo dimenticato tra le tristezze di ciò che ormai pensiamo come perso irrimediabilmente, la gioia della risurrezione di tutto quello che in noi era morto. La risurrezione della speranza. La storia nostra di oggi, e di ogni giorno, ci arriva al cuore attraverso il saluto di Maria. E tutto si illumina, il passato ci ha preparato a questo incontro, ed è questo quello che davvero conta. Anche le debolezze, nell'ascoltare la voce di Maria anche i peccati brillano d'una luce nuova, la stessa che risplende sul volto del Figlio risorto: Lui s'è fatto peccato, e su quel peccato conficcato per sempre sulla Croce, è brillata la misericordia. Pace a voi! Si, la nostra carne, la nostra storia sono la dimora di Dio, il Cielo sulla terra perché tutto quello che di noi appartiene alla terra giunga, un giorno, in Cielo. Salvi, santi, suoi. Apparteniamo a Gesù, come Maria, con Maria, Donna umile ebbra di gioia, che canta le meraviglie di Dio, nella gioia che scaturisce dalla verità. Maria, diversamente da noi, era Immacolata nella concezione, priva del veleno che distrugge le nostre vite, la superbia che tiene Dio fuori dalle nostre porte. Creati per essere veri, e liberi, e felici, gemiamo sotto la dura legge della superbia, la menzogna primordiale iniettataci dal mentitore che ci induce a pensare e credere d'essere quel che non siamo. Il demonio che ci spinge a dilapidare tutte le nostre energie per diventare quello che non saremo mai, immaginando futuri impossibili, cambi di marcia, con le ore cucite sui sogni bambini che rincorrono professioni e mestieri da fare quando si diventerà grandi. Grandi: le nostre cose, i nostri pensieri, le nostre opere. Noi, sempre più grandi, in amore, al lavoro, nello sport, ovunque il mondo abbia la ventura d'incontrarci. Anche quando non riusciamo, e il volto s'appesantisce di depressi pensieri, siamo capaci di fare i più grandi di tutti i nostri dolori, le nostre sofferenze, i nostri problemi e fallimenti. In fuga dal nulla precipitiamo nel nulla più duro, l'acre malessere di chi non riesce a smaltire la sbornia dei sogni infranti, degli ideali spezzati, dei progetti falliti. E non v'è posto infatti per Maria e Giuseppe in nessun albergo: il mondo di cartapesta, i "bed and breakfast" di sogni e chimere che segnano i nostri giorni non hanno un angolo per accogliere il Signore. Meglio, a Lui non si addice nessuna delle nostre torri di Babele lanciate in improbabili scalate alla divinità. Lui è la Verità, e cerca il vero. Cerca Maria, lo scrigno della Verità. Dio cerca la sua umiliazione, la semplice verità, vergine e non deturpata da alcun veleno di superbia. Vergine nella carne perché vergine nello spirito, nella mente e nel cuore. Maria, donna vera, la creatura pura che non teme e non ricusa d'esser creatura. Maria, l'umile di Nazaret, il culmine della storia d'ogni uomo, vera perché semplice nella quotidianità d'una vita sciolta nella volontà del Creatore. Umile perché serva, serva perché creatura. La gioia che Eva ci tolse è in Lei ridonata. Nessun cedimento dinanzi al frutto avvelenato dalla superbia. Maria, umile perché Maria, e null'altro. Maria, una vergine di Nazaret, nulla di più, niente di diverso desiderato. In Lei è ciascuno di noi così come dipinto nella mente di Dio, prima d'ogni inalazione mortifera di superbia originale. La sua umiliazione ci attira nella verità che ci costituisce creature in tutto dipendenti dal Creatore. Il suo seno verginale è tutto quello che di noi appartiene al Creatore. Le sue viscere materne sono la grotta povera, spoglia, di nessun valore che si addice - l'unica - al Dio che si fa uomo. La sua umiliazione accoglie oggi ogni frammento divino che è in noi, il cuore, la mente, il corpo che ci è donato per servire  e donarsi, e che giace schiavo del tiranno che ci ha insegnato l'orgoglio con le parole della menzogna. Maria è l'eletta che ha riassunto in sé ogni creatura perduta, immacolata per i macchiati, umile per i superbi, vera per i falsi. E Dio ha guardato la sua umiliazione, gli occhi misericordiosi del Padre hanno fissato in Lei il suo primo progetto, un figlio, una figlia, e l'abbandono totale tra le braccia dell'amore. Dio ha guardato all'umiliazione di Maria, alla verità di Maria fatta di terra, la sua storia, le sofferenze e le angosce di tutti noi scappati dall'ovile della verità. Maria ci accoglie nella sua umiliazione, e ci conduce nel Magnificat della creatura che esiste nel Creatore, che è del Creatore, che vive per il Creatore. Dio guarda l'umiliazione di Maria come ha guardato il popolo gemente sotto il giogo del Faraone. E si prende cura di Lei, e, in Lei, di tutti noi schiavi della menzogna. Maria visita oggi la nostra vita, sulla soglia delle nostre ore, perchè con Lei possiamo accogliere il Salvatore. Maria ci conduce alla verità della nostra condizione e ci insegna a gridare, ad aspettare, ad accogliere. Maria ci mostra il vuoto che ci pervade, ci insegna a non averne paura, ad accettare quello che siamo, a lasciare ogni sogno, ogni desiderio alla volontà di Dio per noi. Maria ci accoglie e ci aiuta a schiuderci alla Grazia, allo stupore di fronte alle meraviglie della misericordia di Dio preparate per ciascuno di noi. Maria è nostra Madre e ci insegna e accompagna a donarci ad ogni persona e in ogni occasione; in fondo siamo suoi figli, i nostri occhi assomigliano ai suoi, sono disegnati e creati per vedere Dio in ogni istante: il suo Shalom li riporta al loro splendore. Maria ci chiama, ci aiuta a lasciare che vengano dispersi i superbi pensieri annidati nei nostri cuori; che Dio faccia vuote le nostre mani piene di false ricchezze per riempirle dei suoi doni incorruttibili; che siamo oggi rovesciati dai troni del potere, dell'arroganza, dei vani sogni di gloria. Maria ci guida nel cammino di conversione che sono la vita e il tempo che ci son donati. Maria ci abbraccia oggi come abbracciò Elisabetta, e ci unisce al suo canto di lode, quello per cui siamo stati creati. La lode di povere, umili creature che, istante dopo istante, sono ricolmate di Grazia dal proprio creatore. Maria ci accompagna oggi, nella verità e nella gioia, pieni di stupore e di esultanza.
Spagna, gaystapo scatenata: vescovo sotto scorta E da noi Avvenire sdogana tutti i gusti sessuali

   
   
31-05-2017
La folla inferocita in Spagna

La dittatura Lgbt non conosce più freni anche nel mondo cattolico, due episodi lo mostrano chiaramente nel disinteresse di pastori e mondo cattolico.
In Spagna la persecuzione sta diventando violenta. Il vescovo Xavier Novall è stato attaccato da un collettivo Lgbt: aveva detto che dietro l'omosessualità c'è un problema con la figura del padre rifacendosi alle teorie di Nicolosi. Domenica, dopo aver impartito una cresima ai ragazzini di una parrocchia della sua diocesi per farlo uscire dalla chiesa è intervenuta la polizia che lo ha scortato mentre la folla cercava di linciarlo. A sostenere l'agguato anche un'associazione di gay cristiani che lo ha pesantemente bollato come omofobo e ha giustificato l'aggressione, mentre un sindaco della sua diocesi dichiara il suo ingresso sgradito. I tristi prodromi di una guerra civile che non vogliamo riconoscere.
-LA POLIZIA SCORTA IL VESCOVO "BANDITO" DAI GAY di Andrea Zambrano
In Italia invece si sta infiltrando sempre di più l'omoeresia in ambito cattolico. Un editoriale di Luciano Moia sull'inserto "Noi famiglia e vita" abbandona del tutto ormai il diritto naturale e pretende di leggere nell'Amoris Laetitia una svolta che «porta aria fresca, rinnovamento e la pari dignità di fronte a Dio di ogni orientamento sessuale». Dobbiamo forse considerare tra questi anche la pedofilia o la necrofilia?
-ORIENTAMENTI SESSUALI PARI SONO: VIA LIBERA ANCHE A PEDOFILIA? di Lorenzo Bertocchi

martedì 30 maggio 2017

Se la Chiesa povera di sacerdoti decide di puntare sui movimenti ecclesiali, anche laicali

Se la Chiesa povera di sacerdoti decide di puntare sui movimenti ecclesiali, anche laicali
Si è svolta questa mattina una riunione interdicasteriale presieduta dal Papa con tutti i capi dicasteri della Curia romana. 
L’argomento trattato riguarda i nuovi movimenti e realtà ecclesiali, e in particolare il tema dei sacerdoti.  
Fino a oggi, solo le prelature personali e gli ordinariati- quelli militari, come pure quelli creati per favorire il ritorno degli anglicani – avevano la possibilità di incardinare sacerdoti. Ora si sta studiando la possibilità di incardinare sacerdoti anche da parte di fraternità sacerdotali interne ai movimenti ecclesiali laicali. 
Questa possibilità di incardinazione sancita dalla Santa Sede, renderebbe questi sacerdoti non direttamente dipendenti per quanto riguarda l’incardinazione dai vescovi diocesani.
DARE GLORIA A CRISTO CON LA NOSTRA VITA


Ci siamo, mancano pochi giorni al "compimento dell'opera di Cristo sulla terra", ovvero cercare e salvare la pecora perduta per riportarla all'ovile. Per questo nel Vangelo di oggi appare con gli occhi "alzati verso il cielo" indicando a tutti noi il posto che ci ha preparato. E' tutto pronto, basta solo accogliere la sua "Gloria" nella nostra povera carne, la Gloria dell'amore. Amore al Padre, ai discepoli, ad ogni uomo, amore compiuto nell' "ora" della Croce, nella quale la Gloria di Dio è scesa sul Figlio perché Egli potesse, nella sua carne, glorificare il Padre. Non era mai successo che un uomo potesse rendere pienamente Gloria a Dio. Non a noi, che, come ogni uomo, siamo stati creati proprio per essere il riflesso della sua Gloria, ovvero la dimora del suo Spirito vivificante che, secondo il disegno del Creatore, avrebbe dovuto colmare ogni nostro pensiero, parola e gesto. Ma, per l'inganno del demonio a cui abbiamo creduto, ciò non è accaduto. Quante mormorazioni, quanti giudizi, quanti peccati hanno sottratto la Gloria a Dio... Sì fratelli, soffriamo perché non possiamo rendere gloria a Dio con la nostra vita che, per questo, si trasforma in un caos che anticipa l'inferno. Ma proprio qui Gesù ha "compiuto l'opera che il Padre gli aveva dato da fare" manifestando nell'ultimo posto del mondo la Gloria di Dio. Anche nel peggior pezzo della nostra storia, nell'anfratto più oscuro del nostro cuore Gesù è sceso per deporvi la "Gloria del Padre", che significa la sua presenza misericordiosa. Come, infatti, la sua "Shekinà" accompagnò il Popolo d'Israele nelle angosce dell'esilio a Babilonia, essa non ha mai abbandonato l'esilio dal paradiso di ogni uomo, scendendo sino ai bassifondi più corrotti. La "Gloria del Padre", infatti, si è manifestata nel suo Figlio crocifisso, umiliato, disprezzato, rifiutato per raccogliere dalla discarica della storia la carne di ogni peccatore e riscattarla, facendone di nuovo una dimora per lo Spirito Santo. Così Gesù stesso è stato "glorificato dal Padre con la stessa Gloria che", nella sua intimità, "aveva prima che il mondo fosse": proprio per essere entrato nella morte, infatti, Gesù è stato risuscitato e accolto nel Cielo dove si è presentato "davanti" al Padre insieme a coloro che hanno accolto il suo sacrificio.

lunedì 29 maggio 2017

«Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Francesco e la più bella canzone d'amore

«Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto». Francesco e la più bella canzone d'amore
Il monte della Verna entra nella storia dei grandi luoghi santi del mondo grazie a un incontro carico di umanità, di cortesia e di comunione spirituale. Nella primavera del 1213 Francesco d’Assisi insieme a frate Leone stava attraversando la regione del Montefeltro quando sentì di una festa presso il castello di S. Leo: si trattava dell’investitura di qualche cavaliere? Era l’occasione di incontrare gente, di parlare loro del Vangelo, dell’Amore. Salì al castello mentre, forse, sulla piazza si svolgeva una gara di menestrelli.

Montò su di un muretto e lanciò il tema della sua canzone d’amore: Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto. Le sue parole furono così vibranti che gli occhi e la mente di tutti erano come rapiti da lui. Tra gli ascoltatori c’era il Conte di Chiusi in Casentino, Orlando Catani. Via via che lo ascoltava, sentiva crescere in sé il bisogno di parlare con quell’uomo nuovo, di aprirgli il cuore sui fatti della propria anima. Terminata la predica, glielo chiese. Francesco ne fu contento ma volle che prima lui adempisse ai doveri della cortesia e dell’amicizia: Onora gli amici tuoi che ti hanno invitato per la festa e desina con loro, e dopo desinare parleremo insieme quanto ti piacerà. L’incontro fu intenso. Il Conte trovò luce nelle parole dell’uomo di Dio, ma il colloquio gli fece intuire anche qualche riflesso dell’anima di Francesco. Volle perciò fargli un’offerta che gli pareva adatta al suo voler essere tutto di Dio, alla sua ricerca di solitudine: «Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama monte della Vernia, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalle gente, o a chi desidera fare vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri Io ti donerei a te e a’ tuoi compagni per salute dell’anima mia». L’offerta piacque a Francesco. Poco tempo dopo mando due suoi compagni a vedere e, avuto conferma he quanto il conte diceva corrispondeva a verità, accettò il monte con grande gioia.
I Fioretti narrano che quando egli vi si recò fu accolto alle falde del monte da una grande torma di diversi uccelli, li quali con battere I’ali mostravano tutti grandissima festa e allegrezza. Francesco disse ai frati suoi compagni che questo era segno del compiacimento divino: al nostro Signore Gesù Cristo piace che abitiamo in questo luogo solitario. Così la Verna divenne uno dei romitori nei quali ogni anno egli amava passare prolungati periodi di ritiro. Non sappiamo quante volte vi sia salito. Conosciamo invece i fatti della quaresima di S. Michele che vi passò sul finire dell’estate del 1224. Sarebbe stata questa la sua ultima sosta alla Verna.
Era stanco e ammalato. Aveva rinunciato a guidare personalmente il suo ordine: ormai aveva avuto la sicurezza dell’approvazione della Regola da parte del Papa Onorio IV (29 novembre 1223). In essa aveva dato ai suoi frati il midollo del Vangelo, quella era la via da seguire! Per lui era cominciato come un nuovo itinerario di intimità col suo Signore. Nove mesi prima, la celebrazione del Natale gli aveva permesso di immedesimarsi nella esperienza della povertà dell’Incarnazione (Presepe di Greccio1223). Ora lo attendeva il culmine dell’esperienza dell’amore, il dare la vita. Alla Verna ebbe il coraggio di chiedere proprio questo nelle sue notti di preghiera, di solitudine e di rapimento: provare un po’ dell’amore e del dolore che Gesù Cristo sentì nei momenti della sua Pasqua di Morte e Risurrezione. Fu esaudito e, intorno alla Festa dell’esaltazione della Croce (14 settembre), il suo corpo fu segnato delle stesse piaghe del Crocifisso.
Di più, nelle sue mani e nei suoi piedi si formarono come delle escrescenze a forma di chiodi. Mai la storia aveva narrato un fatto simile. Circa venti anni prima (1205/6) aveva cominciato a seguire il Vangelo del Signore ascoltando la Parola del Crocifisso di S. Damiano. Quelle parole e quell’immagine gli si erano stampate nel cuore. Adesso si manifestavano nella sua carne. Fu la sua Pasqua: la Liturgia della Festa delle Stimmate applica a lui le parole di S. Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono piu io che vivo, ma Cristo vive in me… difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 2,20; 6,17).

Francesco era diventato la parola di amore che per anni aveva meditato, vissuto e annunciato.
Gay pride Il vescovo e il comando

   
   
di Andrea Zambrano                          29-05-2017
Alla fine ha parlato lui. Il vescovo di Reggio Massimo Camisasca è intervenuto sulla vexata quaestio che da giorni sta infiammando Reggio Emilia e non solo. La vicenda è quella del gay pride previsto per sabato prossimo nella Città del Tricolore. Anche la Nuova BQ se n'è occupata, quindi per le puntate precedenti rimandiamo agli articoli dei giorni scorsi (quiqui e qui).
Dunque Camisasca ha parlato e dal comunicato, che si può leggere qui, tutti ovviamente hanno cercato di tirare a pro domo propria alcune frasi. Dai titoli è sembrato che il vescovo desse il via libera al gay pride e alla veglia anti omofobia svoltasi il 17 maggio. Nulla di più falso.
Nel comunicato viene ribadito più volte il Catechismo. E nel Catechismo non c'è nulla che sdogani le parate gaie e l'omoeresia. Camisasca ha poi sposato in toto la linea tracciata dalla nota della Congregazione per la Dottrina della fede sulle persone omosessuali del 1986 per dire che «sono contento che persone con orientamento omosessuale si trovino a pregare sotto la guida di un sacerdote e con la partecipazione di altre persone. Questa proposta non deve avere nulla a che fare con l’adesione a quei gruppi Lgbt che rifiutano e irridono la dottrina della Chiesa».
Che è proprio quello che non è stato fatto a Reggio dato che durante la veglia organizzata da un suo parroco le sigle Lgbt erano ben piazzate e non si è fatto minimamente cenno all'esperienza di Courage.
Infatti i giornali si sono fermati prima e quel passaggio lo hanno ignorato. Così come hanno ignorato la dura reprimenda nei confronti dei sacerdoti chiacchieroni che in questi giorni si sono esposti mettendo in difficoltà il pastore reggiano con affermazioni decisamente da cartellino rosso.
Camisasca ha detto che tutte le volte che un prete parla in pubblico le sue parole hanno ricadute su di lui. Un modo elegante per dire: la prossima volta state zitti, perché l'avete fatta fuori dal vasino. E anche qui i giornali non hanno voluto cogliere.
Ma Camisasca si riferiva anche ai liaici e qui veniamo al comintato Beata Scopelli, che con l'aiuto di Radio Spada in questi giorni è attivissimo a cercare adesioni di cardinali come Burke o vescovi come Schneider o teologi come Livi che fino all'altro ieri considerava troppo tiepidi e pavidi contro il modernismo imperante.
A Camisasca non è andato giù che si sia speso il nome della cattedrale per pubblicizzare quella veglia di riparazione che per forza di cose ha attirato l'attenzione della stampa mainstream fino a far scivolare il cerino in mano al vescovo, che pure loro hanno sfidato in aperta polemica. Il vescovo ha riconosciuto che i fedeli hanno tutto il diritto di trovarsi a pregare in pubblico, ma questo avviene anche per la processione del Corpus Domini. Un passaggio non di poco conto, perché Camisasca sa che nessuno di quel comitato sarà presente tra qualche giorno a portare la Santissima Eucarestia per le strade di Reggio dato che si tratta di un'iniziativa della Diocesi, quindi troppo modernista per i loro gusti.
Ma Camisasca ha voluto anche lanciare un altro messaggio, che pochi hanno compreso: è in quella processione in cui il Salvatore si mostra nel suo volto splendente da Risorto che verrà fatto l'atto di riparazione della diocesi all'affronto del gay pride. Una processione eucaristica che arriverà a lavare le strade imbrattate dal gay pride. Lo specificherà? Lo comunicherà? Non è dato a sapere, però un fatto è certo: è in quel riferimento al «carisma del pastore» e al sentire «cum ecclesia» che in questa vicenda è mancato a tutti, che Camisasca vuole esercitare il ruolo di vescovo che gli è toccato in sorte da Benedetto XVI.
E nelle intenzioni del vescovo rientrano anche questi pubblici peccati gravi. Anche Giovanni Paolo II non fece una consacrazione esplicita della Russia. I frutti si vedono oggi. Può piacere o non piacere come stile, a noi ad esempio piace di più lo stile garibaldino dell'armiamoci e partite, più muscolare nel chiamare il male col suo nome, ma non siamo così ottusi da non pensare che se la linea scelta dal vescovo in scienza e coscienza sia questa, non ci siano delle buone ragioni che al momento sfuggono a noi. Alla fine i fedeli, dopo aver fatto sapere al loro pastore le loro opinioni, e questo è stato fatto, devono poi gettare la spugna e accettare con fiducia la decisione presa. A che cosa serve continuare a lagnarsi? Il carisma del pastore appartiene a lui.
Da ultimo un accenno alla Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria che la diocesi ha fatto il 13 maggio a Reggio. Un evento, come abbiamo detto nei giorni scorsi tra i pochissimi in Italia e che il diavolo ha cercato di offuscare per bene con questo, appunto, pandemonio di lustrini e paillettes. Camisasca si lamenta con i giornali di aver snobbato quella preghiera solenne di affidamento. E lo fa sapendo che tutto quello che gli è capitato di vedere in questi giorni ha una sua origine ben precisa.
Sì, ma, dirà qualcuno, Camisasca non ha detto nulla contro il Gay Pride. E che doveva dire? Soprattutto dopo aver proclamato questo: «Ribadisco con convinzione l’affermazione del Catechismo che sostiene che "gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati"». Vi sembra poco? In tempi come questi dove molti vescovi e preti sono diventati omoeretici quando non omosessuali, è già un'enormità. Accusarlo di essere pavido può dare un'ebbrezza iniziale, ma visto quello che combinano altri suoi colleghi di episcopato sul tema gay e affini, capiamo anche chi alla fine la risolve così: «Nui chiniam la testa al Massimo pastor». 
PIGIATI NEL TORCHIO CON CRISTO


Nelle parole di Gesù del Vangelo di oggi si ode l'eco dello Shemà: "Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze". Un solo Dio, e un Popolo scelto ed eletto per manifestarlo al “mondo”. La santità di Dio, infatti, il suo essere totalmente altro, "separato" (significato della parola "santo") si sarebbe manifestata nella santità del suo Popolo: "Siate santi, perché io sono santo (Lv 11,45). Ma, oggi come allora, è difficile essere santi, anzi impossibile; come fare allora per essere fedeli a questa missione in un "mondo" occupato e dominato dai pagani? "Un gruppo di farisei proporrà una soluzione radicale: se si crede nel regno di Dio occorre opporsi fortemente al «regno dell'impertinenza». E la resistenza si organizzerà proprio in Galilea" (F. Manns), dove Dio, non a caso, si era fatto carne, e nella quale erano stati scelti gli Apostoli. Essa era diventata ormai “la Galilea degli zelanti della legge… L'insurrezione in Galilea, organizzata dagli zeloti dopo l'anno 50, si radica in una profonda tradizione religiosa: Dio è il re d'Israele e il padrone della storia. Il dono della terra è il segno dell'alleanza. Arrogarsi la proprietà della terra come fanno i romani significa dar prova di un orgoglio smisurato, dell'appartenenza al regno dell'impertinenza. Essendosi i romani imposti con la forza, occorre fare tutto il possibile per liberare la terra. Alla violenza bisogna rispondere con la violenza. La sete di libertà che animava i rivoltosi scaturiva dal più stretto monoteismo. Era lo zelo della legge a spingerli ad agire" (F. Manns). Occorre tenere presente l’ambiente nel quale erano cresciuti gli Apostoli, e non dimenticare che, nonostante i tre anni passati insieme al Maestro, per loro “il suo parlare era rimasto oscuro”. Per questo le parole di Gesù nel Cenacolo toccano profondamente i loro cuori in attesa del Messia che “avrebbe ristabilito il Regno di Israele”. Si illudono di capire le sue parole: “ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini”. Sono convinti di “conoscere” Gesù: “Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi". E “credono” che sia Lui “il Santo uscito da Dio” per liberare il Popolo dalla dittatura dei romani. Come noi, che pensiamo di aver capito il Signore e di credere in Lui. Ebbene oggi, all’inizio di questa settimana che ci prepara alla Pentecoste culmine della Pasqua, Gesù ci inchioda alla Verità: “Adesso credete?”. No cari fratelli, non crediamo, perché siamo ancora profondamente "scandalizzati" dalla Croce sulla quale Gesù ha compiuto lo Shemà rivelandosi come un Messia completamente diverso da quello atteso da Israele. Siamo "scandalizzati" della “santità di Dio” che non condanna il mondo ma "vince" il suo male per salvarlo; del suo essere “separato” dal nostro orgoglio sino a farsi il servo di tutti. Per questo come gli Apostoli, abbiamo "lasciato solo" il Signore. "E' arrivata l'ora" del Calvario e siamo scappati: la malattia di nostro figlio, il lato sconosciuto e oscuro del carattere del nostro coniuge, il licenziamento, il tradimento dell'amico, la nostra debolezza che ci fa cadere sempre negli stessi peccati. E il male nel mondo, la sofferenza degli innocenti, le guerre, i terremoti, i disastri, le ingiustizie, il cancro. Sì, la Croce ci ha "dispersi ognuno per conto proprio”, a ribellarci lontani da essa. Come "il mondo" abbiamo bisogno di essere salvati, che cioè sia "vinta" in noi la radice del male che ci "scandalizza" e "disperde" nella solitudine. Ma proprio l'abisso della nostra solitudine ha incontrato la solitudine di Cristo, e in essa, la sua intimità con il Padre. Lui non era solo! Proprio sulla Croce era inchiodato alla volontà del Padre; nell'amore che compiva lo Shemà gli era più intimo che mai e ci ha accolti nella loro intimità. Ti senti solo e sconfitto? Ascolta questo Vangelo e convertiti! Apri il tuo cuore a Cristo perché vi scenda per "vincere" il demonio che ti sta ingannando. La sua "vittoria sul mondo", infatti, è Lo Shemà compiuto, la santità di Dio incarnata nella tua "dispersione". Così, la Galilea dei Gentili, immagine di questo "mondo" disperso e rancoroso nel quale sei chiamato a vivere, non sarà più il luogo dove sperare un Messia giustiziere, ma quello dove tu possa ritornare ad essere "santo" a immagine e somiglianza di Dio: "Io ho vinto il mondo! significa forse che Cristo è contro il mondo? No, piuttosto il contrario: questo mondo, che scaccia Dio dai cuori, viene restituito da Cristo a Dio e all’uomo come spazio dell’alleanza originaria, che deve essere anche l’alleanza definitiva quando Dio sarà tutto in tutti". (Giovanni Paolo II). Non esiste un cristianesimo elitario che disprezza il mondo e i peccatori! Come Pietro e gli Apostoli dobbiamo scoprire che non siamo migliori né diversi dai figli del "regno dell'impertinenza". Non del capoufficio, non del vicino di casa, neanche di chi ruba e uccide. Non ti scandalizzare per favore, perché il Signore ti “dice queste cose perché tu possa avere pace in Lui” che ti conosce e ti ama così come sei. Accetta dunque di avere bisogno, come tutti, che, attraverso la Chiesa, Cristo ti "restituisca" il mondo come un luogo dove poter amare e donarti. Lo sai? La prova che Dio ti ama è proprio che "avrai tribolazioni nel mondo", tu che hai sperimentato di non essere capace di accettare la più piccola sofferenza. In esse, infatti, una volta salvato e rigenerato dalla Parola di Dio e dai sacramenti, potrai vivere pienamente nella “santità” di Dio perché crocifisso con Cristo si compirà in te lo Shemà; nell’amore a Dio con tutto te stesso,il Signore ti fa vittorioso sul male “separandoti” dal mondo per potergli annunciare la salvezza. Non si scappa: l'amore autentico è soprattutto solitudine, perché ci fa partecipi della solitudine di Cristo: "nella donazione di sé sulla croce, Gesù depone, per così dire, tutto il peccato del mondo nell'amore di Dio e lo scioglie in esso" (Benedetto XVI). Fratelli, è necessaria "la tribolazione", l'essere "schiacciati, pestati", secondo il significato del termine greco. Anche oggi, infatti, il male e il peccato saranno deposti nel tino della nostra storia, dove con Cristo saremo schiacciati dall'amore di Dio: “Ma ben fecondo è questo essere spremuti nel torchio. Finché è sulla vite, l'uva non subisce pressioni: appare intera, ma niente da essa scaturisce. La si mette nel torchio, la si calpesta e schiaccia; sembra subire un danno, invece questo danno la rende feconda, mentre al contrario, se le si volesse risparmiare ogni danno rimarrebbe sterile” (S. Agostino). Il trofeo della vittoria di Cristo, infatti, è proprio la solitudine che potremo assumere per il mondo che non può soffrire per amare: "Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse: ecco un popolo che dimora solo e tra le nazioni non si annovera. Possa io morire della morte dei giusti e sia la mia fine come la loro. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele!" (cfr. Nm. 23-24). Un popolo che dimora solo, e proprio per questo testimone e vessillo di salvezza. Israele prima, e il Messia che ha compiuto questa profezia, e la Chiesa poi, sino a ciascuno di noi: soli con il Solo, per strappare il mondo alla sua solitudine. Soli nel rifiuto del figlio, per salvarlo. Soli nella gelosia della moglie, per amarla. Soli ovunque, nell'intimità piena con Gesù, e in Lui con il Padre, per mostrare a tutti la "bellezza" della vita divina nella debole "tenda" della carne dei figli della Chiesa. Perché ogni uomo possa desiderare la stessa "fine dei giustificati", ovvero il compimento della vita in Cristo che risplende nei cristiani, frutto della sua "vittoria" sulla morte e il peccato.

sabato 27 maggio 2017

Fontgombault, l'umile gloria della tradizione monastica e il sobrio splendore della liturgia cattolica


«Mistero di tutte queste vite nascoste nel corso dei secoli, consumate dietro le mura. Mistero insondabile e che tuttavia, attraverso gli interrogativi che pone al cuore degli uomini del mondo, può condurre ciascuno, secondo vie diverse, alle porte di un Mistero ancora più grande, davanti al quale solo il Silenzio è eloquente...».
Queste parole introducono il documentario dedicato all’Abbazia Notre-Dame di Fontgombault, monastero benedettino francese della Congregazione di Solesmes.
Fontgombault, la cui divisa Fons Amoris significa "Fontana d’Amore", sembra un luogo preservato dagli oltraggi del tempo, un luogo ancorato nella storia mediante la testimonianza che reca di una tradizione vivente, radicata nel Cristo morto e risorto per tutti gli uomini.
Così scriveva Paul Valéry: «Occorrerà ben presto costruire dei chiostri rigorosamente isolati, dove non entreranno né le onde né le foglie; nei quali sarà coltivata l’ignoranza di ogni politica, si disprezzerà la fretta, il numero, gli effetti della massa, delle sorprese, del contrasto, della ripetizione, della novità, della credulità. Sarà là che un certo giorno si andranno a considerare attraverso le grate alcuni esemplari di uomini liberi».
Un forte richiamo per il mondo questo richiamo a una vita così radicale, austera, ma fonte di gioia, di pace e di libertà interiore.
Perché una tale scelta, o piuttosto per Chi? Difficile dire tutto, o mostrare tutto, perché l’essenziale è una questione della fede...

venerdì 26 maggio 2017

San Paolo risponde ai dubia e mette in chiaro la fonte: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore...»

San Paolo risponde ai dubia e mette in chiaro la fonte: «Agli sposati ordino, non io, ma il Signore...»

Quesito

Caro Padre Angelo,
ti scrivo perché ogni tanto non capisco come mai la traduzione del Vangelo cambi. La ratio sarebbe per facilitare la lettura ed avvicinarla alla lingua parlata corrente, ma così non mi pare. Il Vangelo di questa sera parla del ripudio della moglie, che non deve essere esercitato per non esporre la moglie ad adulterio. A parte che si parla sempre dell’indissolubilità del matrimonio e si omette il caso di porneia, che evidentemente richiederebbe il ripudio, giustificato da Gesù stesso. In questo caso porneia è traducibile con fornicazione, per intendersi tradimento, atti sessuali con altro uomo o donna, che non sia il legittimo consorte. Tutto ciò viene sempre sorvolato e non ne ho mai sentito trattare da nessun sacerdote durante l’omelia. Capisco che si intenda glissare, perché altrimenti tutti i matrimoni decadrebbero all’istante, ma non mi sembra corretto alterare la Scrittura in modo così marcato. Nel  foglietto che ho trovato in Chiesa questa sera si è tradotto porneia con unione illegale!!!!!! Ma questa è una corbelleria bella e buona, notare che subito dopo Gesù dice: dite si al si e no al no, tutto il resto viene dal maligno!
Perché non si dicono le cose come stanno?
Perché non si dice la verità e la si nasconde con giravolte linguistiche?
Tutto ciò altro non fa che alimentare la tesi che la Chiesa abbia manipolato nei secoli la Parola di Gesù a suo uso e consumo. Che ne dici?
“Io invece vi dico che chiunque ripudia la propria donna (= moglie), ad eccezione del caso di fornicazione (in greco: porneia), fa sì che essa sia adultera e chi sposa una donna ripudiata, commette adulterio” (Mt 5,32).
Eugenio

Risposta del sacerdote

Caro Eugenio,
1. secondo il Vangelo di Matteo Gesù viene interrogato da alcuni Farisei sull'argomento del matrimonio. I moralisti di quel tempo si dividevano in due scuole riguardo al divorzio.

Alcuni, che appartenevano alla scuola di Hillel, lo consideravano possibile per numerosi e svariati motivi... A questi liberali si opponevano i discepoli di Shammai che lo permettevano soltanto in caso di condotta immorale o di adulterio della moglie.
I Farisei che interrogano Gesù sembrano essere della scuola più rigorosa, quella di Shammai. Essi si scandalizzavano per il fatto che Gesù mangiasse con i pubblicani e i peccatori e anche perché nel suo insegnamento presentava una concezione meno rigorista della loro sul riposo del sabato. Proprio per questo erano portati a pensare che Gesù si schierasse da parte dell’altra scuola.

2. Lo interrogarono dunque chiedendo: “È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3).
Gesù non si lascia prendere nel tranello facendo proprie le opinioni degli uni o degli altri, ma dà una risposta che esclude il divorzio: “Ora io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie - salvo il caso di porneia - e ne sposa un'altra, commette adulterio” (Mt 19,9).

3. L'inciso di Matteo - salvo il caso di porneia - ha fatto pensare ad  alcuni che Gesù concedesse il divorzio in caso di adulterio e la possibilità per il coniuge leso di risposarsi. Ma se questo fosse stato il pensiero di Gesù, si sarebbe schierato dalla parte della scuola di Shammai, mentre chiaramente Gesù si pone al di sopra delle parti.
Inoltre i discepoli con la loro reazione: “Se tale è la condizione dell'uomo verso la donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10), fanno intendere che hanno capito in senso assoluto l'insegnamento di Gesù, e non nel senso di Shammai perché altrimenti non si sarebbero stupiti.

4. Ma che cos’è questa porneia?
Certamente non si tratta di adulterio, perché in greco l’adulterio o il tradimento coniugale vengono indicato con un termine proprio: moicheia.
La traduzione della CEI del 1974 aveva tradotto: “eccetto in caso di concubinato”. L’attuale (del 2008) traduce: “in caso di unione illegittima”. L’attuale “in caso di unione illegittima” rende meglio l’idea e fa capire che si tratta di un falso matrimonio.
La traduzione precedente diceva “concubinato” e il concubinato non è un vero matrimonio, ma un falso matrimonio. In sostanza dunque non cambia nulla. L’espressione “unione illegittima” è più intelligibile di quella di concubinato.

5. Per comprendere bene questo inciso è opportuno notare anche che né Marco né Luca ne fanno menzione e non danno alcuna possibilità di divorzio: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio verso di lei; se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 19,11-12); oppure ancora: “Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio” (Lc 16,18).

6. Va ricordato anche che sempre nel Vangelo di Matteo, nel contesto del discorso della montagna, Gesù esclude in ogni caso un secondo matrimonio per i divorziati: “Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di porneia (unione illegittima), la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio” (Mt 5, 32).
Questa dottrina è ripresa da san Paolo quando dice: “La donna sposata, infatti, per legge è legata al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata dalla legge che la lega al marito. Ella sarà dunque considerata adultera se passa a un altro uomo mentre il marito vive; ma se il marito muore ella è libera dalla legge, tanto che non è più adultera se passa a un altro uomo” (Rm 7,2-3) e “Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,10-11).

7. Da questi diversi testi emerge la seguente dottrina:
- il matrimonio è indissolubile;
- chi ripudia la moglie la espone a diventare adultera, e di ciò diviene colpevole;
- e se ne sposa un'altra commette adulterio;
- in caso di infedeltà della moglie, l'uomo dandole il libello del ripudio non l'esporrà all'adulterio, e quindi non ne sarà colpevole, poiché l'adulterio è già stato commesso, ma egli non potrà risposarsi, come neanche la moglie ripudiata, senza commettere
adulterio.

8. Tu dici: “porneia è traducibile con fornicazione, per intendersi tradimento, atti sessuali con altro uomo o donna, che non sia il legittimo consorte”.
Dici bene, ma solo in parte. Si può tradurre, sì, con fornicazione. Ma che cos’è la fornicazione? Per fornicazione s’intende il rapporto sessuale tra due persone che non sono sposate. Il concubinato è uno stato di fornicazione permanente. È un’unione, sì, ma è un’unione illegittima perché le persone non sono sposate.

9. Tu non commetti un errore quando scrivi: “porneia è traducibile con fornicazione”, ma lo commetti quando scrivi: “per intendersi tradimento”. No, la fornicazione non è la stessa cosa che un tradimento. Il tradimento è nel genere dell’adulterio, è un venir meno alla fedeltà coniugale.

10. Allora se vuoi tradurre “fornicazione”, puoi farlo. Ma devi intendere per fornicazione quello che questa parola significa, senza confonderla con l’adulterio. La CEI avrebbe potuto tradurre “fornicazione”, ma subito tanti sarebbero caduti nell’errore in cui involontariamente sei caduto anche tu: di intenderla per adulterio. “Fornicazione”, “unione illegittima”, “falso matrimonio”, “concubinato” si equivalgono.

Ecco, come vedi la Chiesa non manipola i testi sacri. Sa che sono parola di Dio. Come potrebbe permetterselo?
Ti ringrazio comunque del quesito che sarà servito per chiarire a molti le idee.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
LA GIOIA DELLA CHIESA CHE PARTORISCE I SUOI NUOVI FIGLI
Congedandosi dagli anziani di Mileto San Paolo disse: "Avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazione. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al Vangelo della grazia di Dio" (At. vv. 22-24). Afferrato da Cristo sulla via di Damasco, dove lo aveva visto vivo, San Paolo ardeva dal desiderio di afferrare la perfezione dell'intimità e dell'amore di Lui. Per questo aveva reputato ogni cosa spazzatura e danno di fronte alla sublimità della conoscenza di Gesù, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze per diventargli conforme nella morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Sapeva dunque che cosa lo attendeva, ma era anche consapevole che l'aver conosciuto Cristo secondo la carne, l'averlo visto risorto e vivo, non era sufficiente per arrivare al premio che Dio lo chiamava a ricevere. Per lui era decisivo l'essere creatura nuova, dimentica del passato e protesa verso il futuro, per vivere ogni giorno lanciato nella corsa verso la mèta, fissando lo sguardo al Cielo nell'attesa ansiosa del ritorno del suo Signore. La visione di Cristo risorto lo aveva salvato, perdonato, eletto e inviato, ma era stato solo l'inizio. Afferrato da Cristo era ormai cittadino del Cielo, ma viveva ogni momento per afferrare, nell'ultimo istante, il suo amore; aveva trovato l'amato del suo cuore, desiderava stringerlo forte per non lasciarlo più. L'esperienza di San Paolo è il compimento delle parole di Gesù che appaiono nel vangelo di oggi. In esse la vita del discepolo è paragonata a un parto. Sullo sfondo vi è la profezia di quanto sarebbe accaduto di lì a poco: Gesù sta per affrontare il rifiuto, sarà crocifisso e morirà. L'annuncio di questo destino aveva turbato e rattristato i discepoli. Ma la tristezza sarebbe cambiata in una gioia che nessuno avrebbe più potuto sottrarre perchè "Gesù stesso è la loro gioia, in perfetta armonia con ciò che dice l'Apostolo: Una volta risuscitato dai morti, Cristo non muore più, e la morte non ha più dominio sopra di lui (Rm 6, 9)" (S. Agostino, Omelie sul vangelo di Giovanni). E così è stato: la sera di Pasqua "i discepoli gioirono nel vedere Gesù". Ma Egli, partendo dall'annuncio del suo mistero pasquale che avrebbe coinvolto l'esperienza dei discepoli nella trasformazione del dolore in gaudio, dice ancora di più. Per questo introduce l'immagine della donna in parto, non a caso descritta da Giovanni anche nell'Apocalisse, quale segno del combattimento escatologico nel quale è posta la Chiesa. Gesù con il suo scomparire nella morte e il suo riapparire vittorioso, pone le fondamenta per quella che sarebbe stata la vita della Chiesa nascente, e, in essa, di ogni discepolo. Quell'esperienza è essa stessa annuncio e profezia della storia che in quel giorno stava iniziando. Esattamente come è stato per San Paolo. Il primo giorno, il giorno della gioia senza fine, ha inaugurato una storia nuova, perché le porte del Cielo si erano ormai dischiuse: era sorto il giorno che non muore, origine e meta della vita. L'esperienza di vedere il Signore risorto aveva infuso nei discepoli la gioia ma, contemporaneamente, aveva loro rivelato il destino cui, insieme ad ogni altro uomo, erano chiamati. Da quella gioia scaturisce immediatamente la missione, il senso ed il contenuto della nuova storia che aveva avuto inizio in quell'incontro sconvolgente: la storia della Chiesa, la storia di ciascuno di noi: "la risurrezione di Gesù va al di là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia. Per questo può essere attestata da testimoni come un evento di una qualità tutta nuova. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione" Benedetto XVI). L'impronta nella storia dell'evento di Pasqua è l'impronta lasciata dai piedi degli apostoli; essi, come san Paolo, hanno ritenuto tutto spazzatura e danno di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo: assetati della pienezza di questa conoscenza sconvolgente, hanno percorso le strade del mondo correndo verso la meta che li avrebbe dissetati. Un'esperienza, una gioia ineffabile, come un'eruzione dalla storia che la supera, che da essa prende il suo inizio e che in essa si dilata attraverso l'annuncio del Vangelo. Perché "la gioia è il gigantesco segreto del cristiano" (Chesterton). Sì, l'evangelizzazione è l'impronta gioiosa della resurrezione nella storia, l'annuncio della notizia che ogni uomo attende perso e schiavo in alienazioni che sono solo delle caricature di quel destino per cui egli è nato. L'annuncio del vangelo è l'impronta di Cristo risorto nella storia offerta agli uomini perché, nel seguirla, possano incontrare la gioia preparata per loro, la misericordia e l'amore rivelati in Cristo Gesù. Si comprende allora come la vita di San Paolo, avvinta da Cristo, fosse unita al Vangelo. Fonte di gioia perenne, sostegno della sua vita, ne era divenuto l'unico scopo, il senso primo ed ultimo, l'origine e la meta della sua esistenza: "Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; una necessità mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero... mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro". Tutto a tutti e tutto per il Vangelo, ecco la vita di San Paolo e di ogni apostolo, della Chiesa, di ciascuno di noi. Siamo tutti la gioia di Cristo, frutti del suo dolore crocifisso come di una donna in parto. Lui ci ha "visto di nuovo" dopo essere stato ucciso dai nostri peccati. Per questo siamo la sua gioia, il frutto benedetto del suo amore più forte dei nostri delitti. E la sua gioia è la nostra gioia, perché siamo suoi per sempre, perché nessuno può più strapparci dalla sua mano. Ogni apostolo, ogni figlio della Chiesa ha questa esperienza dentro, ognuno di noi è nato dal parto sulla via di Damasco. In quel momento di gioia purissima che ha segnato il confine tra la morte e la vita, il dolore e la letizia, il travaglio e il parto, la vita di ciascuno ha cambiato inesorabilmente direzione. Perché "l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro" (2 Cor. 5, 14 ss.). I rinati in Cristo non vivono più per se stessi, ma per Lui. E' questa la svolta decisiva, l'impronta visibile della risurrezione nella storia: una comunità che si ama, fratelli che non si difendono, che offrono se stessi per amore. La risurrezione che ha distrutto le barriere dell'invidia, della gelosia, del rancore; una comunità che si ama nell'amore con cui è amata da Cristo. L'annuncio autentico del Vangelo si fa carne nel suo compimento reale e concreto in un manipolo di piccoli e deboli fratelli, inermi ed incapaci, ma irrorati dello stesso sangue di Cristo, vivi del suo stesso Spirito. Avvinti da questo sentono ardere in loro il dovere di annunciare il Vangelo, come una necessità che si impone. I cristiani attirano nella loro gioia l'umanità intera; così, autenticamente, l'annuncio del Vangelo offre la concretezza della parola e dell'agire alla speranza che alberga nei loro cuori: figli di un parto che ci ha dischiusi alla vita che non muore, gestiamo e soffriamo anche noi i dolori dello stesso parto, per dare alla luce la vita nella morte del mondo: "Vorrei ricordare qui soltanto l'inizio dell'evangelizzazione nella vita di S. Paolo. Il successo della sua missione non fu frutto di una grande arte retorica o di prudenza pastorale; la fecondità fu legata alla sofferenza, alla comunione nella passione con Cristo. In tutti i periodi della storia si è sempre di nuovo verificata la parola di Tertulliano: È un seme il sangue dei martiri. Una madre non può dar la vita a un bambino senza sofferenza. Ogni parto esige sofferenza, è sofferenza, ed il divenire cristiano è un parto" (Joseph Ratzinger). Così si comprendono anche le ultime parole di Gesù, apparentemente contraddittorie. Nel cammino della storia, i cristiani "non hanno più da chiedere nulla" perché sono già nati alla vita eterna. Vivono già le primizie del Regno di Dio, la gioia che, anche dentro il timore, la preoccupazione ed il dolore del parto, non si spegne perché tutto ciò è via alla nascita di una nuova vita. Ma, contemporaneamente, il non aver bisogno di nulla per se stessi, li spinge con fiducia, a chiedere e pregare per il mondo. Come il loro Maestro, presentano ogni uomo al Padre, perché possa sperimentare, nella morte in cui giace, il Mistero Pasquale di Gesù. I cristiani pregano offrendo se stessi, intercedendo proprio attraverso le sofferenze del parto, per il mondo. La loro vita è preghiera certa d'essere esaudita, e così comprendiamo come ogni istante, ogni dolore, ogni fallimento, siano preziosi. Ogni avvenimento della nostra storia, offerto a Dio in sacrificio di soave odore, è fondamento e compimento della missione, dell'annuncio del vangelo. La preghiera che coinvolge la nostra vita è la sostanza più autentica e feconda dell'impronta di Cristo risorto nella storia. Il dolore del parto fatto preghiera, la salvezza di ogni uomo chiesto al Padre nel nome di Cristo, nella certezza di essere esauditi. 

giovedì 25 maggio 2017





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LUI E' CON NOI TUTTI I GIORNI







La Solennità odierna esprime il paradosso più grande, quello che caratterizza l’intera nostra vita: Cielo e terra, Spirito e carne, potenza e debolezza, già e non ancora. “È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società.” (Gaudium et Spes, n. 10).  
L’Ascensione di Gesù è il ponte tra la sua Pasqua e la Pentecoste della discesa dello Spirito Santo, esattamente come il Sabato Santo ha unito il Venerdì della Passione alla Domenica della resurrezione. Il Signore è sceso nella tomba con la nostra carne e con essa è risuscitato. Oggi, con la nostra carne ascende al Cielo, per assidersi alla destra del Padre. 
Oggi trova compimento il cammino intrapreso con l’Incarnazione, proseguito con la vita pubblica ed il suo esito drammatico della Croce e del sepolcro. 
Oggi Gesù risorto schiude a tutti noi la via di ritorno al Padre, e in lui tutti noi, figli prodighi e perduti, possiamo rientrare in noi stessi e convertirci, ritornare a casa, da nostro Padre: “il vostro ritorno sulla via del cielo è qualcosa che va preparato, in un luogo un tempo inaccessibile, da spianare. Il cielo infatti era assolutamente irraggiungibile per gli uomini, e mai prima di allora la natura umana era penetrata nel puro e santissimo luogo degli angeli. Cristo per primo ha inaugurato per noi quella via di accesso e ha dato all’uomo il modo di ascendervi, offrendo se stesso a Dio Padre quale primizia dei morti e di quelli che giacciono nella terra, e manifestandosi primo uomo agli spiriti celesti” (San Cirillo d’Alessandria, Commento sul vangelo di Giovanni, 9).
Ma tra noi e Gesù rimane una differenza sostanziale: Egli è asceso al Padre, noi siamo qui sulla terra. Gli occhi dei discepoli che non potevano staccarsi dalla figura del loro Maestro mentre sfuggiva al loro sguardo inabissandosi nelle altezze celesti, è l’immagine più autentica del nostro intimo. 
Al fondo di ogni desiderio, di ogni atto, anche al fondo dei nostri peccati vi è questo moto naturale, questa nostalgia, questo anelare al Cielo: lo struggimento per il compimento della nostra vita. 
Per questo nulla ci soddisfa, anche le gioie più grandi generano, immancabilmente, desideri ancor più grandi. Perchè tutto di noi è orientato al Cielo.
Come vivere allora questa precarietà spirituale, questa mancanza originaria, questa incompletezza? Come non soccombere nell’accidia, nella de-moralizzazione, nella disperazione? La risposta è nelle parole del Signore che appaiono nel Vangelo di oggi: “Mi è stato dato ogni potere, in Cielo ed in terra”. 
Il potere di Gesù è identico lassù e quaggiù, in Dio e tra di noi. E’ questo potere che risolve la contraddizione che viviamo quotidianamente. E’ questo potere senza limiti che pacifica e riconcilia la nostra esistenza. Ogni potere, il che significa che non vi è aspetto della vita nel quale esso non sia illimitato. Lo possiamo vedere realizzato nella più piccola di tutte le creature, la più umile perchè la più semplice: Maria. In Lei Dio ha mostrato tutto il suo potere soprannaturale: in Lei il Cielo si è fatto terra e la terra si è fatta Cielo. Nella sua carne Dio si è fatto carne e la carne è divenuta dimora di Dio. 
Questo potere celeste è consegnato ai discepoli, a ciascuno di noi. Non è più necessario rimanere con gli occhi incollati al Cielo, la nostalgia del nostro compimento è la memoria che ci desta alla vita piena ed autentica: questa memoria che si fa memoriale, esperienza reale e attuale del ritorno di Gesù negli eventi di ogni giorno, fonda la speranza di rivedere, nel nostro ultimo istante di vita, Cristo vivo discendere dal Cielo per prenderci e portarci con Lui per sempre. 
Asceso al Cielo, il Signore dona alla sua Chiesa il suo stesso potere: la Chiesa può tutto; nella Chiesa noi possiamo tutto. Troppo spesso ce ne dimentichiamo, e viviamo come dei pezzenti, elemosinando le briciole di ciò che già ci è stato donato.
Esattamente come Adamo ed Eva che, pur avendo ricevuto il potere di dominare sui rettili, si lasciarono ingannare da un serpente. La Chiesa è il corpo di Cristo asceso al Cielo vivo su questa terra. La Chiesa ha la vita di Cristo. 
Ciascuno di noi ha il potere di compiere la volontà di amore di Dio nella storia: come in Cielo così in terra, la preghiera che si fa vita nella nostra esistenza. Possiamo vivere il Cielo nella nostra terra: siamo nel mondo ma non siamo del mondo, ed è proprio quando siamo più deboli che diveniamo più forti, perchè nella nostra debolezza si manifesta pienamente il potere di Cristo. 
Nella sessualità, nella lotta per difendere la castità, per non cedere alla pornografia su internet; nella fedeltà quotidiana alla moglie e ai figli; nell’obbedienza; nel rapporto con il denaro; sul lavoro, di fronte alle ingiustizie, al mobbing, alla routine e all’insoddisfazione; nello svago, nella malattia, nella precarietà economica.
In tutto si manifesta il potere di Gesù. Ed è necessario che si scateni in noi, contro la Chiesa e i suoi figli, il potere contrario a Cristo, l’Anticristo. E’ necessario perchè il suo potere si manifesti pienamente di fronte ad ogni contro-potere. 
Come fu quella notte sulla barca, il vento contrario scatenato dal demonio che dominava nella Decapoli dove si stava dirigendo, e Gesù a dormire: tanto era più forte il suo potere da lasciarlo tranquillo, sino a dormire, come fu sulla Croce, quando non si difese e si abbandonò al sonno della morte: il potere del Padre lo avrebbe risvegliato eternamente, e questa certezza era un sigillo nel cuore. 
E’ dunque necessario che il fuoco delle tentazioni, il male, le persecuzioni, le contrarietà si scatenino e si abbattano contro di noi. E’ necessario per sperimentare il potere di Cristo e mostrare il Cielo al mondo. Perchè Lui ha vinto il mondo
E’ questo il senso più profondo del cuore del Discorso della Montagna, quando Gesù dice di non resistere al male e di amare i nemici: è la giustizia più grande, il potere del Signore che si manifesta nella mansuetudine e nella mitezza di un Agnello condotto al macello. 
Nella debolezza crocifissa il potere del demonio è sconfitto. Laddove sembrava avesse vinto, la stoccata decisiva: l’amore totale ha fatto giustizia del peccato e della morte. Il fallimento umano ha dischiuso la vittoria divina: “Egli, con la propria morte, ha fatto morire quella morte, di cui il peccato era stato l’inizio…  “Il mondo”, sotto il soffio della Menzogna originale, divenne nel cuore dell’uomo l’avversario di Dio. E benché il tentatore ripeta sin dal principio: “Sarete come Dio”, questo mondo non è mai capace di offrire, in fin dei conti, all’uomo niente di più, niente d’altro che la morte.” (Giovanni Paolo II). 
Per vincere la Coppa del Mondo di calcio occorre affrontare la squadra più forte, per non avere dubbi sul proprio valore, e dimostrare così, inconfutabilmente, di essere i migliori. Altrimenti sorgerebbero dubbi, si addebiterebbe la vittoria alla fortuna, alle circostanze, ad imbrogli. 
Come Cristo ha dovuto affrontare il nemico più forte, il demonio, sul suo terreno, la morte, anche noi nella vita di ogni giorno siamo chiamati ad affrontare lo stesso combattimento, stimati come pecore da macello. Agnelli in mezzo ai lupi, perchè si compia in noi la vittoria dell’Agnello..
Così sarà evidente e credibile il Cielo, la speranza per noi e per ogni uomo. Perchè apparirà, nella nostra famiglia, al lavoro, ovunque e sempre, che in noi Cristo ha un potere illimitato. Il potere di offrire la vita, di amare sino alla fine, che significa all’infinito. In questa luce si comprendono le parole con le quali Gesù invia gli Apostoli. 
“Annunciare il Vangelo, battezzare, insegnare”, non è altro che vivere la presenza di Gesù in questa terra, e mostrarla ad ogni creatura. Soprattutto nella persecuzione. 
Lui è con noi tutti i giorni: è asceso al Cielo ma è vivo con il suo potere nelle nostre parole, nei nostri atti, nella nostra vita. Io sono, il nome divino rivelato a Mosè, l’essere che smaschera il non essere, la Verità che svela la menzogna, il potere dell’amore che distrugge il potere del maligno: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo
Io sono, e per questo, in Lui, anche noi siamo, tutti i giorni con Lui, un frammento d’eternità deposto nel tempo, fragranza dell’incorruttibilità nello sbiadire della corruzione. 
La Chiesa, e noi in essa, è il corpo vivo di Cristo oggi qui sulla terra; è la caparra del Cielo offerta ad ogni uomo, la primizia del destino al quale tutti sono chiamati: “Per innalzare la nostra speranza al suo seguito, sollevò anzitutto la sua carne, e perché sperassimo che questo sarebbe toccato anche a noi, ci precedette con quella natura umana che aveva assunto da noi” (S. Agostino).