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domenica 8 gennaio 2017

È Natale per i nostri fratelli copti. Il vescovo di Giza: «Siamo una Chiesa del martirio, che attende il Signore»

È Natale per i nostri fratelli copti. Il vescovo di Giza: «Siamo una Chiesa del martirio, che attende il Signore»
(Radio Vaticana) Come ha ricordato il Papa all'Angelus, le Chiese orientali che seguono il calendario giuliano si preparano a vivere il Natale, che secondo la loro tradizione liturgica cade il 7 gennaio. Spesso si tratta di Chiese colpite dal terrorismo di matrice jihadista. Ma i cristiani non rinunciano a celebrare la Natività di Cristo, come i copti in Egitto. Qual è la situazione in cui vivono oggi i copti? Ascoltiamo il vescovo di Giza, mons. Antonious Aziz Mina, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Si vive sempre nella stessa situazione di una Chiesa del martirio che attende sempre il Signore per avere la sua salvezza.
D. - Ci sono dei timori particolari quest’anno o tutto procede tranquillamente?
R. - Tutto procede tranquillamente. C’è soltanto l’amarezza di quei cristiani “martiri” che abbiamo perso poco più di un mese fa (25 morti nell’attentato contro la Cattedrale copta del Cairo, l’11 dicembre scorso, ndr)
D. - La situazione in Egitto è un po’ migliorata a livello politico?
R. - Purtroppo il pensiero di questi fanatici ha influito sul modo di pensare della società spingendola a pensare in un senso unico; tutti quelli che non la pensano come loro sono nemici.
D. - Le frange estremiste sono più isolate adesso in Egitto?
R.  - Le loro azioni diminuiscono; non hanno lo stesso tenore di prima, ma il pensiero che regna è questo e questo è il guaio. Sono 30, 40 anni, forse di più, che seminano le loro idee; seminano queste idee chiuse, vedono solo quello che dicono e credono loro, senza lasciar spazio ad un’altra persona di dire le proprie ragioni.
D. - A che punto è il dialogo della vita tra cristiani e musulmani in Egitto?
R. - Il dialogo della vita va avanti soprattutto tra le persone ancora aperte; ci sono  vicini che si conoscono bene e si aiutano tra di loro, ma ci sono altri che non si vedono, non tanto a livello cristiano-musulmano, ma proprio al livello umano; anche un fratello con un suo fratello … Non c’è più questa affettività che c’era prima fra gli egiziani, fra tutti insomma. Ora un fratello è disposto a portare suo fratello di sangue davanti ad un tribunale per una sciocchezza.
D. - È una situazione molto cambiata quella della società egiziana …
R. - Esatto. I nostri ragazzi che erano portati ad amarsi gli uni gli altri, alla cultura della convivenza, dell’accettazione e dell’apertura, sono diventati chiusi, ciascuno per conto suo; chi può arrivare ad avere un suo diritto, anche a costo del diritto di un altro, non esita un attimo ad andare avanti.
D. - E il Natale che cosa dice ai cristiani in questo contesto così difficile?
R. - Dice: “Non dovete odiare, perché se arrivate ad odiare loro hanno vinto”. Il messaggio del Natale è un messaggio di amore e di pace. Prima di tutto dobbiamo avere la pace dell’anima per poter dare la pace agli altri. Allo stesso modo, dobbiamo pregare per tutti, anche per quelli che odiano, che ci perseguitano, che non ci vogliono nemmeno vedere; dobbiamo dare questa testimonianza di amore per vivere veramente il Natale.
D. - Oggi la vita dei cristiani è più difficile?
R. - La vita degli egiziani oggi è più difficile, non solo  per i cristiani, ma per tutti gli egiziani. L’etica è cambiata, non c’è più il valore dell’amore, ma regna l’egoismo. Dobbiamo ricominciare daccapo. Non  dimenticatevi di noi nelle vostre preghiere, perché è su questo che noi contiamo. Conosciamo la forza della preghiera e del rimanere saldi nell’amore di Dio: è questo che ci salverà.

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