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martedì 24 gennaio 2017

Per gli ebrei la risurrezione era inconcepibile. Nessuno può avere inventato quella di Gesù

Per gli ebrei la risurrezione era inconcepibile. Nessuno può avere inventato quella di Gesù
(Uccr) - Perché la Chiesa primitiva ha applicato la parola “risurrezione” a Gesù? La domanda si pone perché non esisteva la concezione della risurrezione corporale ed individuale tra gli ebrei suoi contemporanei. La risurrezione per loro sarebbe accaduta a tutti i giusti alla fine del mondo, non prima di essa.
Uno tra i principali studiosi del Nuovo Testamento del mondo anglosassone, N.T. Wright, alla fine di una vasta indagine sul pensiero del popolo ebraico, e non solo, del primo secolo, ha proprio verificato tutto ciò: l’idea di una risurrezione del corpo era per loro impossibile e inconcepibile. «A differenza dei greci e dei romani», ha scritto N.T. Wright, «la morte non era vista dai Giudei come la liberazione dal mondo materiale, ma come una tragedia. Secondo l’insegnamento ebraico ci sarebbe stata una risurrezione corporale di tutti i giusti nel momento in cui Dio avrebbe rinnovato il mondo intero e rimosso tutta la sofferenza e la morte. La risurrezione, tuttavia, era solo una parte del completo rinnovamento del mondo e l’idea di un individuo resuscitato, nel bel mezzo della storia, mentre il resto del mondo continuava ad essere gravato dalla malattia, dal decadimento e dalla morte, era inconcepibile».
Il celebre storico ha proseguito: «Se qualcuno avesse detto ad un ebreo del primo secolo: “E’ stato risuscitato dai morti!”, la risposta sarebbe: “Sei pazzo? Come può essere? La malattia e la morte sono scomparse? La vera giustizia è stata ristabilita in tutto il mondo? Il lupo si è riconciliato con l’agnello? Ridicolo!”. L’idea stessa di una resurrezione individuale sarebbe stata letteralmente impossibile da immaginare sia da un ebreo che da un greco» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, p. 99). La speranza ebraica nella risurrezione dei morti era invariabilmente una speranza puramente escatologica.
Il lavoro di N.T. Wright è stato confermato dalla ricerca effettuata dal prof. Joachim Jeremias, celebre docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Gottinga. Esaminando la letteratura ebraica, Jeremias ha concluso: «Nell’antico ebraismo non esisteva l’attesa di una risurrezione come un evento della storia. Certamente erano conosciute le risurrezioni dei morti, ma queste erano semplicemente rianimazioni per il ritorno alla vita terrena. Da nessuna parte nella letteratura giudaica si trova qualcosa di paragonabile alla risurrezione di Gesù» (J. Jeremias, Die älteste Schicht der Osterüberlieferungen”, in Resurrexit, Libreria Editrice Vaticana 1974, p.194). Anche il teologo non credente Gerd Lüdemann ha ammesso che «l’analisi storica porta all’origine brusca della fede pasquale dei discepoli» (G. Lüdemann, Zwischen Karfreitag und Ostern in Osterglaube ohne Auferstehung?, Freiburg: Herder 1995, p. 27).
Soltanto una mente folle e autolesionista avrebbe scelto di inventarsi cose talmente inconcepibili se avesse avuto l’intenzione di convincere altri ebrei. C’erano strade ben più semplici a disposizione, non è così che si inventa. Inoltre, questo replica anche all’accusa di qualche scettico moderno secondo cui i discepoli avrebbero rubato il corpo di Gesù per far trovare vuoto il sepolcro. «Questo presuppone», commenta infatti N.T. Wright, «che i discepoli si sarebbero aspettati che gli altri ebrei fossero stati aperti alla convinzione che un individuo avrebbe potuto risuscitare dai morti. Ma niente di tutto questo era possibile. La gente di quel tempo avrebbe considerato una risurrezione corporale impossibile, esattamente come la ritengono molte persone del nostro tempo, seppur per motivi diversi».
Occorre anche considerare che secondo la legge dell’Antico Testamento, chiunque veniva condannato e appeso ad un albero era sotto la maledizione di Dio (Dt. 21.23), e gli ebrei applicarono questo verdetto anche ai condannati da crocifissione. Così, visto attraverso gli occhi di un seguace ebreo di Gesù del primo secolo, la crocifissione non era affatto la morte del proprio amato Maestro, ma una vera catastrofe: significava che, lungi dall’essere l’Unto di Dio, Gesù di Nazareth era semplicemente stato maledetto da Dio. Certo, nel primo secolo vi furono molti altri “rivoluzionari” che vennero giustiziati, ma, prosegue N.T. Wright, «nonostante la delusione, i loro seguaci mai sostennero che il loro eroe era stato risuscitato dai morti. La risurrezione non era concepibile come evento privato, i rivoluzionari ebrei il cui leader era stato ucciso dalle autorità e che erano riusciti a fuggire all’arresto, avevano solo due opzioni: rinunciare alla rivoluzione o trovare un altro leader. Affermare che il leader era tornato in vita, semplicemente non era un’opzione ragionevole. A meno che, naturalmente, era accaduto davvero così» (N.T. Wright, Jesus, the final days, Westminster John Knox Press 2010, pp.100-108).
C’è solo un ebreo che ha sostenuto di essere il Messia e i cui seguaci -andando contro la loro stessa concezione teologica- lo hanno inspiegabilmente proclamato risorto dai morti dopo essere stato giustiziato, venendo uccisi come martiri pur di testimoniare quel che avevano visto. E se avessero fatto questo semplicemente perché così realmente accadde?

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