Manicardi, nuovo priore di Bose: sì alla possibilità di divorziare e risposarsi, come gli ortodossi
Nell’articolo del 2015 Tra un Sinodo e l'altro, la battaglia continua, il vaticanista Sandro Magister riportava la posizione del monastero di Bose riguardo alla questione della Comunione ai divorziati risposati, per bocca dell'allora vice priore della comunità Luciano Manicardi, da pochi giorni nuovo priore al posto di Enzo Bianchi:
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Il vicepriore di Bose, Luciano Manicardi, in una dotta intervista all'Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose, invoca che anche la Chiesa cattolica, come già fanno le Chiese ortodosse, ammetta lo scioglimento di un matrimonio e quindi la possibilità delle seconde nozze non solo per la morte di uno dei coniugi ma anche semplicemente per la "morte dell'amore”.
Ecco cosa dice sul punto il vice di Enzo Bianchi:
«Nella Relatio synodi si fa riferimento alla “diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse” che prevede la possibilità di nuove nozze non solo in caso di vedovanza ma anche di divorzio, accompagnate da un percorso penitenziale e, in ogni caso, non oltre la terza volta (cf. anche la Relatio ante-disceptationem 3f). Se al momento pare difficile l'importazione nella Chiesa cattolica del modello ortodosso che prevede anche il riconoscimento di giuste cause di divorzio (nel mondo ortodosso, infatti, fin dal canone 9 di Basilio di Cesarea ripreso dal Concilio in Trullo del 691-692, si prende come eccezione vera l'eccezione matteana all'indissolubilità matrimoniale che troviamo in Mt 5, 32 e 19, 9), tuttavia, dal momento che la Chiesa cattolica già prevede la possibilità di nuove nozze sacramentali in caso di morte di un coniuge, riconoscendo così un fallimento irreversibile del primo matrimonio che non infrange il principio della indissolubilità, si può pensare che essa possa giungere ad accogliere la possibilità di nuove nozze di fronte all'evidenza di fallimenti irreversibili dovuti alla morte dell'amore, alla morte della relazione, alla trasformazione della vita insieme in un inferno quotidiano. Certo, unitamente a una disposizione penitenziale e alla volontà di un re-inizio serio in una nuova unione. E questo come misura pastorale ed “oikonomica” che narra la misericordia di Dio, il suo amore più forte della morte, e va incontro con compassione all'umana fragilità. Di certo questa soluzione, prospettata da un teologo come Basilio Petrà, che stupisce di non aver visto annoverato tra gli esperti del sinodo del 2014, avrebbe conseguenze sul piano ecumenico in quanto rappresenterebbe un indubbio avvicinamento di posizioni con la prassi di altre Chiese».
Il vicepriore di Bose, Luciano Manicardi, in una dotta intervista all'Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose, invoca che anche la Chiesa cattolica, come già fanno le Chiese ortodosse, ammetta lo scioglimento di un matrimonio e quindi la possibilità delle seconde nozze non solo per la morte di uno dei coniugi ma anche semplicemente per la "morte dell'amore”.
Ecco cosa dice sul punto il vice di Enzo Bianchi:
«Nella Relatio synodi si fa riferimento alla “diversità della disciplina matrimoniale delle Chiese ortodosse” che prevede la possibilità di nuove nozze non solo in caso di vedovanza ma anche di divorzio, accompagnate da un percorso penitenziale e, in ogni caso, non oltre la terza volta (cf. anche la Relatio ante-disceptationem 3f). Se al momento pare difficile l'importazione nella Chiesa cattolica del modello ortodosso che prevede anche il riconoscimento di giuste cause di divorzio (nel mondo ortodosso, infatti, fin dal canone 9 di Basilio di Cesarea ripreso dal Concilio in Trullo del 691-692, si prende come eccezione vera l'eccezione matteana all'indissolubilità matrimoniale che troviamo in Mt 5, 32 e 19, 9), tuttavia, dal momento che la Chiesa cattolica già prevede la possibilità di nuove nozze sacramentali in caso di morte di un coniuge, riconoscendo così un fallimento irreversibile del primo matrimonio che non infrange il principio della indissolubilità, si può pensare che essa possa giungere ad accogliere la possibilità di nuove nozze di fronte all'evidenza di fallimenti irreversibili dovuti alla morte dell'amore, alla morte della relazione, alla trasformazione della vita insieme in un inferno quotidiano. Certo, unitamente a una disposizione penitenziale e alla volontà di un re-inizio serio in una nuova unione. E questo come misura pastorale ed “oikonomica” che narra la misericordia di Dio, il suo amore più forte della morte, e va incontro con compassione all'umana fragilità. Di certo questa soluzione, prospettata da un teologo come Basilio Petrà, che stupisce di non aver visto annoverato tra gli esperti del sinodo del 2014, avrebbe conseguenze sul piano ecumenico in quanto rappresenterebbe un indubbio avvicinamento di posizioni con la prassi di altre Chiese».
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