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martedì 3 gennaio 2017

Il valore del tempo
Beato Paolo VI immagine frontaleNell’omelia del 1° gennaio 1961 per l’inizio dell’anno civile

di GIOVANNI BATTISTA MONTINI

L’inizio dell’anno civile, che cade quest’oggi, non ha un riflesso diretto nella liturgia, la quale segue con tranquilla coerenza la meditazione del mistero del Natale, dell’incarnazione. Ma questo momento, questa circostanza ha invece una ripercussione notevole nell’animo nostro; ci fa pensare.
Il cambiamento dell’anno, il vedere sotto i nostri occhi l’aumentarsi la cifra degli anni che passano ci fa riflettere. Ed è una riflessione utile anche se spesso non arriva a delle conclusioni tranquillizzanti. La riflessione sul tempo, se non è illuminata da qualche pensiero superiore, diventa una meditazione tristeeche faanchepauraeche puòavereripercussioni non buone su la vita, e cioè ci può spingere alla conclusione degli epicurei, di quelli che dicono: fa’ presto, carpe diem , carpe horam , affréttati [Orazio, Carmina , I , 11, 8] perchè bisogna godere il momento che passa e poi sarà quel che sarà. E questa riflessione sul valore, sulla natura del tempo a cui siamo stati particolarmente invitati ieri sera riflettendo su l’anno che finiva e pensando alla inesorabilità di questo passaggio del tempo che condiziona e misura la nostra vita, ha certamente introdotto anche una distrazione esteriore e, nella ebbrezza tanto strana con cui si vuole celebrare il passaggio da un anno all’altro, ha certamente introdotto dei pensieri che, a vedere bene, non possono non essere pensieri gravi. Il tempo fugge, quello che ci resta da vivere è sempre di meno. Abbiamo soltanto l’attimo presente e questo nostro modo di vivere, questo aspetto della nostra esistenza che succede da atto ad atto, da momento a momento, è una cosa che sveglia in noi un grande desiderio della vita e nello stesso tempo lo delude perchè questo momento non si ferma, passa e, dopo averci offerto l’esperienza del momento successivo, subito lo inghiotte e lo porta via e ci lascia ancor più desiderosi di vivere e più delusi di prima. Il valore del tempo noi moderni lo conosciamo, perchè siamo tutti dei frettolosi e vogliamo tutti guadagnar tempo. Vedete che uno degli sforzi più notevoli del nostro momento, del nostro periodo di civiltà, è quello della velocità, e cioè di guadagnar tempo, di usufruire più intensamente del tempo che passa perchè si sa che soltanto in questa misura, entro questi margini della successione di un atto all’altro, noi possiamo godere la vita. E allora si cerca di fare di tutto perchè la prestezza, la velocità degli atti renda più molteplici questi atti stessi e più intensa la nostra esperienza delle cose che vengono alla nostra attenzione. Abbiamo un concetto però ordinariamente esteriore, economico, time is money dicono gli inglesi, il tempo è denaro; e anche questa è una lezione che abbiamo imparato molto bene, perchè sappiamo fare dei computi esattissimi di quanto rende il tempo, quanto il denaro, quanto si deve retribuire una data durata di tempo e così via. Ma non è una considerazione completa questa. È esatta, applicata alle cose, applicata ai beni economici, ma applicata alla vita non è completa, perchè la vita non tende soltanto ai beni economici, e cioè il tempo serve anche a conquistare, a guadagnare qualche altra cosa, ha valore per qualche altra cosa. E, volendo sostare un istante, vediamo che ha valore o per quello che dà momentaneamente, ed ecco tutta l’ansia dell’a f f e r r a re l’istante, tutta la drammaticità del poema di Goethe, del Fa u s t , cercare l’istante, l’istante pieno, l’istante felice, l’istante che resta; o invece, con un realismo molto più saggio, l’aspettare l’istante successivo, il futuro, il tendere verso l’avvenire le proprie pretese e i propri sforzi. E la vita vale per le speranze che la sostengono, vale per gli scopi che si propone, vale per l’avvenire che si traccia davanti, per i programmi che mette davanti alla propria attività. Questa considerazione, specialmente la seconda, cioè del valore del tempo per ciò che nel futuro esso deve portare, è molto confacente alla vita cristiana, è tutta tesa verso un qualche cosa che deve venire, che noi aspettiamo, tanto che la vita presente non è che un’attesa di una vita futura. San Carlo fa una predica [l’8 luglio 1583], tra le sue più note, sull’ozio. Si vede che allora l’ozio era molto più diffuso, specialmente nelle classi ricche; il lavoro era considerato una cosa ignobile, quanto più si va indietro e tanto più questo nella storia è identificabile e perciò l’ozio sembrava essere la condizione migliore. San Carlo obbietta questa cosa. Non è cristiano; dobbiamo tutti lavorare e dice, sapientemente, che non vi è nulla più prezioso del tempo, ma del tempo usato, del tempo impiegato, del tempo attivo, del tempo, cioè, che esercita qualche operazione, che cerca di guadagnare un futuro, un qualche cosa di futuro. Questa considerazione la troveremo ripetuta, ripetutissima in tutta la Sacra Scrittura, specialmente nel Nuovo Testamento. San Paolo continuamente batterà sopra questa considerazione: tempus breve est , guardate che il tempo è breve [1 Corinzi , 7, 29], fate presto, fate bene, tempus acceptabile , questo è il tempo utile, il tempo propizio [2 Corinzi , 6, 2], bisogna guadagnare questo momento, questa fortuna, e così via. E a guardar bene, vediamo che questa stessa considerazione sopra questo aspetto di difficile definizione, ma di reale constatazione della nostra vita, del tempo, entra moltissimo anche nel Vangelo. Il Vangelo mi pare percorso da una tensione o rabbia. Specialmente nel vangelo di san Giovanni vedrete che Cristo ripeterà, mi pare tre volte, questo concetto: ambulate dum lucem habetis , camminate mentre è giorno, mentre avete la luce, quia venit nox in qua nemo potest operari , perchè incombe la notte in cui più nessuno potrà operare [ Giovanni , 12, 35 e 9, 4]; e dice cioè l’immagine della vita presente e l’immagine della morte in cui l’operazione, la successione non è più di quella stagione misteriosa e ulteriore della nostra vita. E dirà poi il Signore un altro concetto, anche questo ripetuto, sette, otto, dieci volte forse nel Vangelo, ma ora si direbbe che Cristo viva con l’orologio in mano, nondum venit hora mea , non è ancora venuta l’ora [ Giovanni , 2, 4]. E poi invece tante e tante volte dirà: venit h o ra , venit hora , venit hora , è venuta l’ora, è venuta l’ora, è scoccato il momento [per esempio, Giovanni , 12, 23 e 16, 25]. È qui il momento preciso in cui deve avvenire questo e quest’altro; si vede che ha la conoscenza di ciò che sta per avvenire, una conoscenza preternaturale, soprannaturale per cui conosce lo svolgimento imminente dei fatti e calcola specialmente questo succedersi delle Sue azioni in ordine alla grande ora della Sua passione, della Sua morte, che è l’ora critica di tutta la storia umana. Questo ci dice, ripeto, che la considerazione del tempo è una considerazione utile, una considerazione saggia, specialmente se noi la facciamo alla luce di questo piano divino che rischiara la nostra vita e ci fa vedere come la vita presente è donata a noi per svolgere un piano, per raggiungere una meta, cioè per compiere un dovere. E allora, alla considerazione sopra il valore del tempo, succede questo: la considerazione sopra il buon uso del tempo, come si impiega bene; e si impiega bene compiendo ciò che dobbiamo compiere, eseguendo il programma che è stabilito per la nostra vita, facendo, cioè, il nostro dovere. I nostri doveri sono quelli che riempiono bene il tempo. Ed è strano, come dicevamo, che l’uomo moderno è tanto avaro del suo tempo e lo calcola con tale precisione e tanta misura e con tanta fretta e ansia di impiegarlo bene, e poi lo dissipa. Quante ore perdute, quanti svaghi inutili, quanta conquista sì di tempo libero, impiegato poi per che cosa? Per perdere il tempo. Una grandissima parte delle nostre occupazioni sono perfettamente inutili, perchè non sono nel piano dei nostri doveri e ci fanno perdere quel tempo che abbiamo guadagnato, invece, sopra il compimento di doveri prescritti, di doveri morali e onesti. Dobbiamo, questo primo giorno dell’anno, dedicarlo a fare programmi; e anche quelli che stanno a fare il piano della loro vita, vedere almeno approssimativamente quello che devono fare; quelli che hanno la coscienza delle proprie obbligazioni e quindi stabiliscono bene come distribuire la loro storia non lasciandosi quasi sopraffare dal tumulto e dalla successione esteriore delle cose, ma che cercano di dominarle, di regolarle, in maniera di poterle accompagnare con un atto di volontà o di reazione o di acquiescenza, ma in maniera che percorrano il tempo e la successione delle cose da compiere con la coscienza, con la consapevolezza e con il dominio almeno relativo di queste azioni successive che formano il tessuto delle nostre giornate. È bene, dico, fare qualche piano; è bene oggi raccogliere la propria mente e fissare dei buoni propositi. Oggi sarebbe il giorno dei buoni propositi, il giorno dei preventivi, il giorno dei calcoli buoni e saggi e dire: quest’anno farò così, il tempo lo userò in quest’altra maniera, risparmierò questo tempo inutile, impiegherò meglio quest’altro, darò alla mia vita qualche po’ di ordine. Non sempre i doveri, specialmente quando sono i doveri di carità e i doveri dello stato, ci consentono di distribuire liberamente il disegno, il piano della nostra vita, ma qualche maniera è sempre consentita di compiere bene il proprio dovere. E specialmente poi quelli che si trovano alla vigilia della pianificazione della loro vita, cioè nel momento della vocazione, della scelta, il fare delle scelte buone e dare dei pensieri gravi e bene riflessi sopra le scelte che si devono fare del come impiegare la vita, è molto saggio e può essere veramente salutare. Un pensiero sul quale io invito un istante la vostra attenzione, ed è questo: mi piacerebbe che avessimo tutti la preoccupazione di santificare, di santificare il nostro tempo, la nostra vita, perchè la nostra vita è fatta per la conquista di Dio, per la conquista di questo bene infinito, e la santificazione è appunto creare un rapporto voluto fra la nostra vita, la nostra esperienza, le nostre giornate, le nostre occupazioni e il termine finale, superiore; tutto deve essere rivolto, cioè, a Dio. Dobbiamo essere bravi in questa santificazione, che può avere dei gradi più o meno intensi, dei gradi più o meno occupanti, ma che per tutti è necessaria. Noi dobbiamo santificare il tempo che passa; dobbiamo mettere in relazione la nostra vicenda che scorre fatalmente col ritmo astronomico, col ritmo naturale, poi col ritmo delle nostre occupazioni, e ci consuma la vita, mettere in comunicazione con ciò che resta, fare un rapporto tra la fugacità delle nostre cose terrene con la eternità di Dio che rimane sempre. È un pensiero questo anche naturale che ha tanto ispirato il nostro grande padre sant’A m b ro gio, che ci ha lasciato gli inni con cui la preghiera santifica le ore del giorno. Abbiamo sentito hora tertia , abbiamo cantato un momento fa: «Ecco che sorge l’ora terza e il momento in cui dobbiamo pregare il Signore». E poi dirà verso sera: «Tu che dai la luce al vespro» e così via. E l’abitudine cristiana ha appunto distribuito questi slanci dell’anima verso l’eternità ad ogni ora del giorno ed ha creato così una preghiera, che è la preghiera corale, che è la preghiera del breviario, dell’ufficio, che cerca di accompagnare tutte le ore del giorno con un colloquio con Dio. La notte c’è la preghiera notturna, al mattino la preghiera dell’aurora, le lodi cantano il sole che viene e poi l’ora di prima, di terza, di sesta, di nona e poi il vespro e poi finalmente Te lucis ante terminum / re r u m creator poscimus , prima che la luce finisca, Signore, ancora io parlo con te. Ecco che Dio riflette la preghiera, fa eco a questa vicenda, Dio riflette sopra di noi la sua luce proprio per invitarci a considerare il ritmo del tempo che passa e che ci dovrebbe condurre al fondo finale che è lui stesso, il Dio nostro. E questa relazione naturale, data dalla successione dei giorni e dalla successione astronomica a cui noi siamo soggetti, acquista maggiore intensità in una profondità misteriosa nell’ordine soprannaturale, e cioè, cioè su la presenza di Cristo nel tempo. Quando il Signore se ne andò e fu terminata la sua storia nel tempo, nel Vangelo l’ultima parola qual è? Come si chiude il vangelo di san Matteo, che è quello che ci porta proprio agli estremi momenti di Cristo nella presenza temporale su questa terra? Ego vobiscum ero usque ad consummationem saeculi , io resterò, io resterò con voi fino alla fine dei secoli [28, 20]. Ecco allora che c’è una presenza di questo capo dell’umanità che rimane mentre Lui è già fuori del tempo. Christus heri, hodie et in saecula , cantiamo al Signore: Cristo ieri, Cristo oggi, Cristo nei secoli [ Lettera agli Ebrei , 13, 8]. È possibile tracciare un rapporto tra il Cristo che è fuori del tempo e noi e renderlo presente in mezzo a noi. Questo grande sforzo di rendere presente Cristo in mezzo a noi è la preghiera sacramentale, è la liturgia. Quello che stiamo celebrando è una attualizzazione di Cristo in mezzo a noi, è il santificare il tempo. Ed ecco perchè quest’oggi vogliamo celebrare bene la messa che adesso è iniziata, proprio per dire al Signore: mane nobiscum, Domine , rimani con noi o Signore, perchè si fa sera. Come i pellegrini di Emmaus hanno detto a Cristo pellegrino misterioso, il Maestro stupendo ma nascosto, i pellegrini di Emmaus gli dicono: «Rimani con noi, o Signore, resta con noi» [ Luca , 24, 29]. E noi diciamo continuamente così al Signore: «Resta con noi, resta con noi». Che cosa dobbiamo fare in pratica? Oh, lo sapete bene, ma è venuto il momento di dirlo e di ricordarlo: cerchiamo che ogni nostro giorno abbia appunto il suo raccordo con Dio, voglio dire le sue preghiere. Le diciamo le preghiere della mattina e della sera? Santifichiamo questi giorni che passano o, si dice, non ho tempo? Ma come, non hai tempo che lo occupi tutto in cose che moriranno e che ti lasceranno più vuoto di prima? Metti un istante la tua vita in rapporto con Dio, agganciala a quello che non passa, santificala, fa’ che un’intenzione di eternità e una presenza e una protezione di Dio sia su i tuoi passi, guarda che la luce del Signore sia sul tuo sentiero, rettifica le tue intenzioni, rendi buona la tua esistenza con questo breve, brevissimo se vuoi, ma che dovrebbe essere immancabile, rapporto col Signore. Hai tempo di prendere il cibo materiale: perchè non devi avere il tempo di prendere il cibo spirituale e di dare alla tua giornata un tono, un valore, una santificazione proprio da questo istante con cui consegni a Dio le azioni che vengono la mattina e consegni al Signore le azioni passate alla tua sera e al commiato dalla tua luce per il riposo notturno? La giornata, ripeto, sia santificata da qualche preghiera. La preghiera feriale, che nel nostro popolo una volta era molto sentita, è assai decaduta, è assai decaduta; le messe dei giorni feriali sono deserte e non dovremmo neanche fare grave rimprovero se pensiamo che oggi tutti lavorano, che tutti hanno orari, che tutti hanno impegni. A me fa tanta impressione e direi quasi edificazione, alla mattina quando si esce presto, vedere tutto questo formicolìo di popolo che corre, che prende tram, che non ha più pace se non arriva in orario e così l’affanno dell’arrivare in tempo: Dio li benedica, perchè questi stanno compiendo un loro dovere. E se un pensiero sacro, un pensiero pio ha aperto questa ansia mattutina, certamente quella sarà una giornata meritoria e Dio benedirà quella fatica anche se non si svolge entro le mura del tempio. Ma viene la giornata di Dio, viene il giorno festivo. Non soltanto dobbiamo santificare ogni giornata, ma abbiamo il dovere di santificare quel ritmo particolare del tempo che è la settimana e che è congiunta col ritmo misterioso e cosmico con cui Dio ha creato il mondo. Ha voluto che il pensiero della settimana gravasse proprio su i nostri piccoli affari e le nostre piccole cose. Il giorno settimo riposerai e lo darai al Signore. Oh, quanto avremmo da dire sopra questo argomento! Voi sapete che abbiamo occupato proprio sul pensiero della santificazione della festa il Sinodo minore della nostra diocesi [del 22 settembre 1960] per esortare i sacerdoti ed esortare i buoni a riflettere sopra l’importanza e sopra il dovere della santificazione della festa. Dobbiamo dirlo con amarezza: anche noi cristiani abbiamo spesso laicizzato il giorno festivo. Quelli più osservanti e più fedeli si contentano di una messa ascoltata a qualche maniera e poi la giornata festiva è fatta chissà per che cosa. Non è più il giorno del Signore, non è più il giorno dell’anima, non è più il giorno della preghiera, non è più il giorno dello spirito. Lo so bene che il lavoro moderno che impegna non più le forze fisiche ma la monotonia di certi gesti e di certe occupazioni intellettuali è sfibrante; sfibra di più il lavoro nostro moderno vicino alle macchine, ai tavoli delle burocrazie, eccetera che non il lavoro pacifico dei campi di un tempo, e quindi l’uomo moderno ha bisogno di evasione, ha bisogno di distrazione; ha passato la settimana facendo lo stesso gesto, facendo la stessa cosa, sentendo gli stessi telefoni, sentendo le stesse cose; ha bisogno di un po’ di fantasia, ecco il cinematografo; ha bisogno di correre, ecco le passeggiate. E direi anche qui non c’è niente da dire: il Signore vi conceda uno svago lecito ed onesto per le vostre giornate festive. Ma che non siano profane, ma che non siano dimentiche di Dio, ma che non siano soffocatrici dei bisogni dello spirito. Avete passato tutta la giornata con la testa curva sopra la terra, ma levatela il giorno festivo e guardate il cielo e guardate il panorama della vita e pensate ai grandi problemi. E abbiate la forza di cavare dalle vostre anime e dalle vostre penose esperienze la preghiera, sia gemito, sia inno o che sia; ma innalzatela a Dio e pensate di santificare così il corso della vostra vita intessendo a sette a sette nei giorni della vostra vita i ritmi con cui la collegate con l’eternità. E vedrete allora che questo ritmo settenario, a settimana, vi distribuisce un altro ritmo anche questo meraviglioso e stupendo, conosciuto sì, ma mai abbastanza goduto, mai abbastanza meditato, che è quello della proiezione della vita temporale di Cristo su la nostra. La liturgia, cioè questa preghiera domenicale, ci collega con la vita temporale del Signore. Abbiamo appena celebrato il Natale, quest’oggi celebriamo la sua circoncisione, così fa ripercuotere nella nostra vita la sua vita, i suoi misteri diventano i nostri e Cristo rimane vivo in mezzo a noi e noi diventiamo così cristiani ricalcando sopra i suoi esempli, i suoi ricordi e questa sua misteriosa presenza la nostra umile e profana esistenza terrena. Diventiamo davvero cristiani e imbeviamo il tempo che passa di un valore eterno; ritroveremo tutto questo il giorno finale alla sera della nostra vita. Se abbiamo dimenticato questo, figlioli miei, abbiamo perduto il tempo, abbiamo perduto tutto, abbiamo finito di godere la vita e l’abbiamo sciupata. Per godere la vita, ripeto, bisogna condurla a valori eterni, che sono quelli morali, che sono quelli religiosi, che sono quelli della grazia soprannaturale che sono l’anticipo della sola condizione di vita in cui la successione non sarà più, ma l’istante sarà perenne. Oh, possa davvero il tempo che passa prepararci al giorno che non passerà mai! E usiamo bene del giorno che passa; giorni, settimane ed anni per congiungerci con Cristo eterno che ci aspetta alla fine di questo nostro pellegrinaggio terreno.

© Osservatore Romano - 2-3 gennaio 2017

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