Prima puntata. I coniugi Paradiso-Campanelli, residenti a Colletorto in provincia di Campobasso, volano in Russia per avere un bebè tramite la pratica della maternità surrogata. Nel febbraio del 2011 il piccolo nasce e biologicamente non è figlio di nessuno dei due membri della coppia italiana. La coppia fa comunque risultare come figlio loro il neonato, ma, ritornati in Italia, l’ufficiale di stato civile – imbeccato dal Consolato italiano a Mosca che in una nota aveva fatto sapere che il certificato di nascita conteneva attestazioni false - nega loro la trascrizione dell’atto di nascita.
Infatti per il nostro ordinamento la genitorialità legale si acquisisce o perché si riconosce il figlio naturale o perché lo si adotta. Non si può diventare genitori tramite maternità surrogata, pratica da noi vietata. Un procedimento penale poi si apre a loro carico per aver dichiarato il falso all’ufficiale di stato civile, per uso di documenti falsificati e per violazione della legge sulle adozioni internazionali.
Intanto il minore, che ormai aveva raggiunto l’età di otto mesi, venne tolto alla coppia, dichiarato in stato di abbandono e successivamente dato in adozione, ma non ai coniugi di Colletorto sebbene avessero fatto regolare richiesta. Infatti il Tribunale dei minorenni si era guardato bene dal dare in adozione un bambino ad una coppia di coniugi che aveva dato prova di infischiarsene della legge italiana.
Ne nasce un contenzioso e la vertenza giudiziaria arriva sino alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) la quale nel gennaio di due anni fa aveva ravvisato a carico dello Stato italiano una violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, articolo che riguarda la tutela della vita familiare e privata. In quell’occasione i giudici si erano pronunciati non tanto sulla questione della maternità surrogata e sugli altri aspetti accessori inerenti la rivendicata genitorialità della coppia, bensì sulla decisione da parte delle autorità italiane di sottrarre il minore alle cure della coppia.
La Corte europea aveva così concluso: da una parte non sussiste un «obbligo per lo Stato italiano di restituire il minore ai ricorrenti, visto che ha sviluppato senza dubbio legami affettivi con la famiglia affidataria con cui ha vissuto dal 2013»; dall’altra si intima all’Italia di pagare 20.000 euro di risarcimento a favore della coppia proprio perché non ha rispettato la loro vita privata, risarcimento quindi dovuto per le sofferenze morali patite dai due i quali ormai si erano affezionati al piccolo che per qualche mese era cresciuto con loro (per chi volesse maggiori dettagli clicchi qui).
Seconda puntata. Il governo italiano ricorre in appello alla Grand Chamber della Cedu. I giudici di appello ieri hanno ribaltato la sentenza di primo grado: non c’è stata violazione dell’art. 8. Se per vita familiare deve intendersi quella instauratasi tra coppia e minore questa è inesistente: “Vista l'assenza di qualsiasi legame biologico tra il bambino e le ricorrenti – si legge nella sentenza - la breve durata del loro rapporto con il bambino e l'incertezza dei legami tra di loro dal punto di vista legale - nonostante l'esistenza di un progetto parentale e la qualità dei legami affettivi - la Corte ha dichiarato che una vita familiare non esisteva tra le ricorrenti e il bambino”.
La nota stonata sta nel fatto che per i giudici di appello, come quelli di primo grado, è sufficiente accudire un bambino per un po’ di tempo a casa propria ed ecco nascere legami familiari tra adulti e bambino. La famiglia non è più quella istituzione che nasce esclusivamente dal matrimonio, ma può esserci anche una famiglia di fatto. In breve bastava che i coniugi tenessero presso di loro il piccolo per più tempo ed il gioco era fatto.
Ma proseguiamo. I giudici correttamente hanno poi osservato che i due coniugi non si possono lamentare per la sofferenza morale patita a motivo della sottrazione del bambino, perché quel bambino sin dal principio non poteva stare con loro, cioè è stato portato in Italia in barba alla legislazione del nostro Paese. Insomma, come appuntavamo due anni fa, chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Se per vita familiare dobbiamo invece intendere quella relativa ai due coniugi, questa è sì esistente, ma le autorità italiane non l’hanno assolutamente violata. “La Corte – continua la sentenza - ha ritenuto che le misure oggetto del ricorso [sottrarre il minore alla coppia] avevano perseguito gli obiettivi legittimi di prevenire disordini e di tutelare i diritti e le libertà altrui”. Su questo punto la Grand Chamber specifica che è nella competenza esclusiva di ogni Stato decidere quali sono i criteri legali per fondare la genitorialità, criteri che vengono scelti al fine di tutelare il minore.
I giudici hanno poi aggiunto che le autorità italiane avevano correttamente appurato che la sottrazione del bambino ai coniugi Paradiso-Campanelli non avrebbe recato nessun grave danno al bambino stesso. In sintesi i giudici italiani avevano operato per il maggior interesse del minore rispettando l’equilibrio di tutti i beni in gioco e dunque nessun rilievo può essere mosso a loro. In particolare hanno sottolineato che la sofferenza patita dai coniugi per la separazione dal bambino vale nulla rispetto all’autentico bene del minore e agli interessi pubblici. Infine hanno ricordato che concedere in adozione il bambino ai due coniugi di Colletorto “sarebbe stato equivalente a legalizzare la situazione creata da loro in violazione di rilevanti norme della legge italiana”.
Bene dunque questa sentenza della Cedu, ma attenzione a non far dire ai giudici ciò che non hanno detto. Non hanno detto che la maternità surrogata è pratica illegale o che non si possa diventare genitori legittimi tramite l’utero di un’altra donna: che ogni Stato faccia come creda. Hanno semplicemente affermato che le leggi italiane sulla genitorialità e le relative decisioni dei giudici non hanno violato la vita familiare dei due coniugi di Campobasso.
Lo hanno capito benissimo i Radicali italiani che ieri hanno diramato questo comunicato stampa: "La decisione della Corte Europea dei Diritti Umani sul caso di due genitori intenzionali senza legami biologici con il figlio non esclude in nessun modo che si affronti una discussione laica e approfondita sul tema della maternità surrogata. Tale decisione, che si fonda unicamente sulla mancata violazione da parte dell'Italia dell'articolo 8 della Convenzione, rende anzi ancora più necessaria una legge dello Stato che regolamenti la pratica della gestazione per altri al fine di tutelare pienamente i diritti e la serenità di tutte le parti coinvolte e di interrompere il cosiddetto 'turismo dei diritti'”.
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