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sabato 28 gennaio 2017

Se la Chiesa di Milano si vergogna della famiglia
    
   
di Andrea Zambrano                                    28-01-2017

Verrà giorno che le famiglie sposate dovranno fare l’accento svedese come Fantozzi per mimetizzarsi. Se prima a destare scandalo erano le cosiddette unioni irregolari, oggi, nella Chiesa della misericordia a buon mercato sono le cosiddette unioni regolari: monogame, fedeli, innamorate, anche se tra alti e bassi. Insomma: le famiglie cristiane non avranno più ospitalità neppure in chiesa. Non è catastrofismo, ma una lettura consequenziale della realtà. A Milano il furore anti coniugale ha intaccato la nobile istituzione dell’Arcidiocesi che, nell’approcciarsi alla Festa delle Famiglie prevista per domani (la liturgia ambrosiana sposta all’ultima domenica di gennaio la Solennità della Santa Famiglia che nel rito romano è dopo Natale), ha inviato ai parroci un dettagliato vademecum per illustrare le finalità e le caratteristiche della festa da celebrare a messa.
Tralasciamo il lungo papiro condito di parole passepartout come “accoglienza”, “porte aperte”, “stile di vita nella gioia” e concentriamoci sul finale del documento dove vengono illustrate “alcune attenzioni per le messe”. Secondo l’ormai rodata tecnica del complesso natalizio, ecco che le famiglie cattoliche, domenica potranno festeggiare sì la loro unione, ma di nascosto per non offendere stavolta, non i musulmani, ma i divorziati.
“Nella giornata che celebra la Festa della Famiglia un invito è quello a non dimenticare le tante persone che vivono la solitudine, la vedovanza, l’abbandono da parte del coniuge, i figli «divisi» tra papà e mamma...”. E fin qui...
Ma il top si raggiunge con la richiesta di non celebrare gli anniversari di matrimonio. “Appunto per motivi di delicatezza e rispetto, l’indicazione è quella di evitare, durante le Messe di domenica prossima, la celebrazione degli anniversari di matrimonio”. Delicatezza e rispetto. Verso chi poi? Abbiamo inaugurato la stagione dell’invidia della felicità altrui, della vergogna per ciò che fino a ieri era qualche cosa di così prezioso da diventare sacramento. Così se una famiglia è felice, magari perché mamma e papà ne hanno passate di tutti i colori, ma possono arrivare alle nozze d’oro come San Paolo al termine della corsa, no: questa è mancanza di rispetto per chi invece è caduto. Che è come impedire a Federer di esultare a 35 anni suonati per rispetto al povero Wawrinka.
La notizia ha dello sconcertante, così sconcertante che dopo un pomeriggio di fuoco qualcuno deve aver avvisato l'Arcivescovo Angelo Scola, il quale ha provveduto saggiamente a far togliere dalla home page il riferimento. Ma fino a ieri mattina l'ufficio di Pastorale familiare della Diocesi, guidato da una coppia e da un sacerdote di stretta osservanza martiniana, difendevano ancora la scelta. Però nel sito curato dall'Ufficio, il riferimento agli anniversari spostati ad altra data rimane, contribuendo così a creare ancora più confusione e ambiguità.
Pasticcio comunicativo a parte, la trovata è assurda, offensiva e costituirebbe una pericolosa deriva, oltre che un drammatico precedente. Farebbe sentire le famiglie cattoliche come appestate. Discriminate.
Non appena pubblicata sul sito diocesano, la notizia ha fatto il giro di Milano. Tanto che il Forum delle associazioni famigliari non ha mancato di protestare contro la decisione.
“Vorremmo esprimere il nostro dispiacere per un invito a escludere dalla Festa della famiglia il ricordo della ricorrenza degli anniversari di matrimonio. Pur comprendendo la sottolineatura di un’attenzione nei confronti di tutte le situazioni di sofferenza, pensiamo che festeggiare gli anniversari esprima il desiderio di voler testimoniare la bellezza della famiglia e le gioie che accompagnano la vita coniugale. Non crediamo che questa testimonianza di un valore umano e cristiano possa essere recepito dai divorziati come una mancanza di rispetto o di sensibilità nei loro confronti: siamo certi invece che anche loro condividano e vivano la festa come un valore”.
Le polemiche sono state così veementi che l’Ufficio di Pastorale Famigliare della Diocesi di Milano ha così replicato, difendendo la scelta, poi bloccata dall'Arcivescovo: “Il Servizio Diocesano per la Famiglia ha scelto da ormai dieci anni di dare come indicazione di collocare in altri momenti dell’anno pastorale questa celebrazione. Il motivo veniva proprio dall’esperienza pastorale diretta: evitare che il clima di festa prevalesse sul fine riflessivo, di coscientizzazione e di educazione che contraddistingue la scelta tipicamente ambrosiana di estrapolare la memoria liturgica della Santa Famiglia dal periodo natalizio. Si è voluto cioè evitare che tutto l’impegno pastorale si riducesse all’organizzazione di una celebrazione liturgica festosa a cui faceva seguito un grande momento distensivo di condivisione intorno al pasto”.
Questa la spiegazione ufficiale, che sembra aprire scenari inquietanti. A parte la parola “coscientizzazione” che sembra uscita direttamente dalla facoltà di sociologia di Trento, a questo punto che facciamo del Natale? Anche il 25 dicembre si mangia e si beve e si fa festa. Oltre ovviamente a pregare e andare a messa. Che facciamo? Spostiamo al 7 marzo?
Che poi: la celebrazione degli anniversari di matrimonio nelle messe non è nient’altro che una serie di preghiere rituali nella messa per la benedizione degli sposi. Quindi, a rigor di logica, è una preghiera anche per chi è divorziato o, come si ama dire oggi, ferito, il quale è ancora sposato di fronte a Dio e quindi nulla vieta che la preghiera lo tocchi.
Però, leggendo il Messale Romano, è facile comprendere perché certe preghiere diano fastidio e si capisce come certe raccomandazioni non siano altro che il frutto di certe ermeneutiche sinodali oggi molto in voga.
“Siete venuti nella casa del Signore per rinnovare gli impegni solennemente sanciti davanti all'altare. Perché la divina grazia vi confermi nel santo proposito, rivolgete a Dio il vostro ringraziamento e la vostra supplica”. Gli sposi invece dicono: “Benedetto sei tu, o Padre, perché ci hai benignamente assistiti nelle vicende liete e tristi della vita; aiutaci con la tua grazia a rimanere sempre fedeli nel reciproco amore, per essere buoni testimoni del patto di alleanza in Cristo Signore”. Alla benedizione delle fedi: “Signore, benedici questi anelli nuziali: gli sposi che li porteranno custodiscano integra la loro fedeltà, rimangano nella tua volontà e nella tua pace e vivano sempre nel reciproco amore”. E la preghiera finale: “Dio vi custodisca in tutti i giorni della vostra vita: sia vostro aiuto nella prosperità, conforto nel dolore e colmi la vostra casa delle sue benedizioni. Per Cristo nostro Signore”.
Insomma: in quelle preghiere si parla di fedeltà, di impegno, di protezione del cielo, di aiuto di Dio, di alleanza, di tutti i giorni della vita. Si parla dunque di una felicità eterna, di un aiuto di Dio costante, di uno sforzo nella quotidianità nell’amarsi e nell’accettarsi. Si parla di un obiettivo che oggi è diventato non solo irraggiungibile, ma anche scorretto, non consono ai tempi e ora offensivo per chi invece di fronte a quegli impegni è caduto.
Quella dell'Ufficio per la pastorale familiare è una visione ecclesiologica che va oltre la sfera matrimoniale e famigliare, è un pugno in faccia ad un sacramento che dovrebbe essere uno dei pilastri della vita cristiana. E soprattutto è un degradare il matrimonio cristiano a una delle tante opzioni umiliando chi in quel matrimonio ha seminato vita, sofferenza, speranze e può presentarsi di fronte al Signore per rendere grazie di tutto ciò che ha ricevuto.
Non per vantarsi, perché di fronte ad una coppia che rinnova le promesse matrimoniali non c’è nessun vanto: c’è semmai una consapevolezza ancora maggiore rispetto al giorno del matrimonio dell’importanza, della sfida creatrice a cui Dio ha chiamato gli sposi, c’è un abbandono maggiore, proprio perché tante ne sono state vissute.
Invece un ufficio di pastorale familiare può permettersi di presentare una visione rovesciata della realtà, e dunque diabolica, che induce a ritenere il matrimonio come qualche cosa di sconveniente, almeno di fronte a qualche categoria “sociale”, da non promuovere, qualche cosa di cui vergognarsi, uno scandalo. Invece di illustrare a chi vive situazioni irregolari quale sia la situazione perfetta insegnata dalla Chiesa, la Diocesi più grande d’Europa voleva smettere di insegnare per gettare in pasto ai suoi fedeli il più trito del così fan tutti, svilendo l’opera di chi, in questi anni di inizio millennio, si sta battendo nella società perché la famiglia abbia il suo centro originario nella vita dell’uomo.
E poco importa se la burocrazia curiale accampa le giustificazioni più astruse. Resteranno sempre delle scuse, che il più delle volte serviranno a celare alcune, misere, buone intenzioni. Che sappiamo bene che cosa sono solite lastricare.  

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