Ogni giorno sperimentiamo la maledizione che pesa su chi, aspettando la salvezza dalla Legge (religiosa o qualsiasi altra), non riesce a compierla e ne diventa trasgressore colpevole. Non ci sentiamo perseguitati dalle conseguenze dei nostri peccati che ci braccano senza farci respirare, ancor più amare perché ci denunciano come ipocriti e incoerenti? Sperimentiamo cioè la fame e il bisogno di Davide in fuga da Saul con i suoi compagni, perseguitati anche noi dalla gelosia e dalla schiavitù di rapporti morbosi e gelosi. Per sfuggire abbiamo bisogno di Qualcuno che, come fece il sacerdote Achimelech con Davide, ci ami oltre il lecito offrendoci il Pane capace di saziarci anche se non ne abbiamo alcun diritto. Abbiamo bisogno di Cristo, che ha portato Shabbat sino alla nostra vita incastrata nei giorni infruttuosi senza amore, fin dove siamo caduti peccando. Il suo amore è a un passo da noi, ci cammina accanto e attende solo di essere “strappato” come una spiga matura. Quanto fatto dai discepoli infatti, ha un carattere profetico: Era giunto il Messia, Gesù di Nazaret, il Servo di Yahwè come un chicco di grano caduto in terra per produrre il molto frutto dell’amore e della libertà. Con Lui era giunta l'Era Messianica, che nel Talmud è chiamata "Yom shekullò Shabbat - il giorno che sarà tutto Shabbat". Il campo nel quale sono entrati i discepoli è dunque immagine del sepolcro che ha accolto il Signore; le spighe sono il frutto della risurrezione, germogliato proprio per distruggere la schiavitù del peccato. I discepoli, affamati di perdono, vita e libertà, entrano in quel sabato per partecipare al compimento definitivo di ogni sabato, sigillo dell'Allenza che Dio ha donato a Israele. Come i sei giorni della Creazione puntavano al riposo in cui introdurre l'uomo, così la nuova creazione operata nel Mistero Pasquale di Cristo mira ad abbracciare i peccatori nel perdono che rigenera. In quel campo era apparso il “Signore del sabato” che avrebbe vinto il signore del sepolcro e della morte; era Lui il frutto atteso, la gratuità del perdono e dell’amore che ogni sabato insegna e celebra. “Strappare le spighe e mangiarne” allora, significa vivere in pienezza il sabato accogliendo la spiga matura che non siamo stati capaci di far germogliare nella nostra vita. Shabbat è “fatto da Dio per l’uomo” e non viceversa proprio perché il perdono è gratuito, come il destino eterno per il quale siamo stati creati. Esso fu pregustato profeticamente da Davide e dai suoi compagni, assaporato dagli Apostoli in cammino con Gesù, e offerto a noi nella Chiesa, anticipo del Regno di Dio dove diventiamo anche noi sacerdoti, re, profeti, liberi di mangiare i pani di vita preparati per l'offerta rituale. Ci conduce all'amore che è il cuore della Legge attraverso l'iniziazione cristiana alla fede, il grembo della vita eterna che la Chiesa ci dona infondendo in noi lo Spirito Santo. E' Lui che compie in noi Legge nell'amore per adeguarla ai bisogni di chi ci è accanto e soffre la persecuzione del demonio e patisce la fame di perdono. Nella comunità, mentre ci nutriamo del Pane di vita fatto carne e sangue di Cristo, impariamo a discernere nella storia lo stesso cibo della volontà del Padre preparato per Lui. Esso consiste nel compiere l'opera affidata al Figlio vivo in noi, passare cioè nel campo del mondo che già biondeggia per la mietitura raccogliendo le spighe che sono i peccatori per i quali Cristo ha già faticato offrendo la sua vita. Allora coraggio, possiamo approfittare liberamente della sua Passione cogliendone il frutto della vita eterna perché possa operare in noi la libertà e la parresia per annunciare il Vangelo a ogni uomo, offrendo con la nostra vita un lembo di Shabbat, una porta aperta sul Regno di Dio dove i peccatori, deboli e sfiduciati, possano riposare nell'amore di Dio.
martedì 17 gennaio 2017
SAZIATI DAL PANE DI VITA NELLA CHIESA, SIAMO INVIATI NEL MONDO A COGLIERE LIBERAMENTE I FRUTTI DELLA PASQUA
Ogni giorno sperimentiamo la maledizione che pesa su chi, aspettando la salvezza dalla Legge (religiosa o qualsiasi altra), non riesce a compierla e ne diventa trasgressore colpevole. Non ci sentiamo perseguitati dalle conseguenze dei nostri peccati che ci braccano senza farci respirare, ancor più amare perché ci denunciano come ipocriti e incoerenti? Sperimentiamo cioè la fame e il bisogno di Davide in fuga da Saul con i suoi compagni, perseguitati anche noi dalla gelosia e dalla schiavitù di rapporti morbosi e gelosi. Per sfuggire abbiamo bisogno di Qualcuno che, come fece il sacerdote Achimelech con Davide, ci ami oltre il lecito offrendoci il Pane capace di saziarci anche se non ne abbiamo alcun diritto. Abbiamo bisogno di Cristo, che ha portato Shabbat sino alla nostra vita incastrata nei giorni infruttuosi senza amore, fin dove siamo caduti peccando. Il suo amore è a un passo da noi, ci cammina accanto e attende solo di essere “strappato” come una spiga matura. Quanto fatto dai discepoli infatti, ha un carattere profetico: Era giunto il Messia, Gesù di Nazaret, il Servo di Yahwè come un chicco di grano caduto in terra per produrre il molto frutto dell’amore e della libertà. Con Lui era giunta l'Era Messianica, che nel Talmud è chiamata "Yom shekullò Shabbat - il giorno che sarà tutto Shabbat". Il campo nel quale sono entrati i discepoli è dunque immagine del sepolcro che ha accolto il Signore; le spighe sono il frutto della risurrezione, germogliato proprio per distruggere la schiavitù del peccato. I discepoli, affamati di perdono, vita e libertà, entrano in quel sabato per partecipare al compimento definitivo di ogni sabato, sigillo dell'Allenza che Dio ha donato a Israele. Come i sei giorni della Creazione puntavano al riposo in cui introdurre l'uomo, così la nuova creazione operata nel Mistero Pasquale di Cristo mira ad abbracciare i peccatori nel perdono che rigenera. In quel campo era apparso il “Signore del sabato” che avrebbe vinto il signore del sepolcro e della morte; era Lui il frutto atteso, la gratuità del perdono e dell’amore che ogni sabato insegna e celebra. “Strappare le spighe e mangiarne” allora, significa vivere in pienezza il sabato accogliendo la spiga matura che non siamo stati capaci di far germogliare nella nostra vita. Shabbat è “fatto da Dio per l’uomo” e non viceversa proprio perché il perdono è gratuito, come il destino eterno per il quale siamo stati creati. Esso fu pregustato profeticamente da Davide e dai suoi compagni, assaporato dagli Apostoli in cammino con Gesù, e offerto a noi nella Chiesa, anticipo del Regno di Dio dove diventiamo anche noi sacerdoti, re, profeti, liberi di mangiare i pani di vita preparati per l'offerta rituale. Ci conduce all'amore che è il cuore della Legge attraverso l'iniziazione cristiana alla fede, il grembo della vita eterna che la Chiesa ci dona infondendo in noi lo Spirito Santo. E' Lui che compie in noi Legge nell'amore per adeguarla ai bisogni di chi ci è accanto e soffre la persecuzione del demonio e patisce la fame di perdono. Nella comunità, mentre ci nutriamo del Pane di vita fatto carne e sangue di Cristo, impariamo a discernere nella storia lo stesso cibo della volontà del Padre preparato per Lui. Esso consiste nel compiere l'opera affidata al Figlio vivo in noi, passare cioè nel campo del mondo che già biondeggia per la mietitura raccogliendo le spighe che sono i peccatori per i quali Cristo ha già faticato offrendo la sua vita. Allora coraggio, possiamo approfittare liberamente della sua Passione cogliendone il frutto della vita eterna perché possa operare in noi la libertà e la parresia per annunciare il Vangelo a ogni uomo, offrendo con la nostra vita un lembo di Shabbat, una porta aperta sul Regno di Dio dove i peccatori, deboli e sfiduciati, possano riposare nell'amore di Dio.
Ogni giorno sperimentiamo la maledizione che pesa su chi, aspettando la salvezza dalla Legge (religiosa o qualsiasi altra), non riesce a compierla e ne diventa trasgressore colpevole. Non ci sentiamo perseguitati dalle conseguenze dei nostri peccati che ci braccano senza farci respirare, ancor più amare perché ci denunciano come ipocriti e incoerenti? Sperimentiamo cioè la fame e il bisogno di Davide in fuga da Saul con i suoi compagni, perseguitati anche noi dalla gelosia e dalla schiavitù di rapporti morbosi e gelosi. Per sfuggire abbiamo bisogno di Qualcuno che, come fece il sacerdote Achimelech con Davide, ci ami oltre il lecito offrendoci il Pane capace di saziarci anche se non ne abbiamo alcun diritto. Abbiamo bisogno di Cristo, che ha portato Shabbat sino alla nostra vita incastrata nei giorni infruttuosi senza amore, fin dove siamo caduti peccando. Il suo amore è a un passo da noi, ci cammina accanto e attende solo di essere “strappato” come una spiga matura. Quanto fatto dai discepoli infatti, ha un carattere profetico: Era giunto il Messia, Gesù di Nazaret, il Servo di Yahwè come un chicco di grano caduto in terra per produrre il molto frutto dell’amore e della libertà. Con Lui era giunta l'Era Messianica, che nel Talmud è chiamata "Yom shekullò Shabbat - il giorno che sarà tutto Shabbat". Il campo nel quale sono entrati i discepoli è dunque immagine del sepolcro che ha accolto il Signore; le spighe sono il frutto della risurrezione, germogliato proprio per distruggere la schiavitù del peccato. I discepoli, affamati di perdono, vita e libertà, entrano in quel sabato per partecipare al compimento definitivo di ogni sabato, sigillo dell'Allenza che Dio ha donato a Israele. Come i sei giorni della Creazione puntavano al riposo in cui introdurre l'uomo, così la nuova creazione operata nel Mistero Pasquale di Cristo mira ad abbracciare i peccatori nel perdono che rigenera. In quel campo era apparso il “Signore del sabato” che avrebbe vinto il signore del sepolcro e della morte; era Lui il frutto atteso, la gratuità del perdono e dell’amore che ogni sabato insegna e celebra. “Strappare le spighe e mangiarne” allora, significa vivere in pienezza il sabato accogliendo la spiga matura che non siamo stati capaci di far germogliare nella nostra vita. Shabbat è “fatto da Dio per l’uomo” e non viceversa proprio perché il perdono è gratuito, come il destino eterno per il quale siamo stati creati. Esso fu pregustato profeticamente da Davide e dai suoi compagni, assaporato dagli Apostoli in cammino con Gesù, e offerto a noi nella Chiesa, anticipo del Regno di Dio dove diventiamo anche noi sacerdoti, re, profeti, liberi di mangiare i pani di vita preparati per l'offerta rituale. Ci conduce all'amore che è il cuore della Legge attraverso l'iniziazione cristiana alla fede, il grembo della vita eterna che la Chiesa ci dona infondendo in noi lo Spirito Santo. E' Lui che compie in noi Legge nell'amore per adeguarla ai bisogni di chi ci è accanto e soffre la persecuzione del demonio e patisce la fame di perdono. Nella comunità, mentre ci nutriamo del Pane di vita fatto carne e sangue di Cristo, impariamo a discernere nella storia lo stesso cibo della volontà del Padre preparato per Lui. Esso consiste nel compiere l'opera affidata al Figlio vivo in noi, passare cioè nel campo del mondo che già biondeggia per la mietitura raccogliendo le spighe che sono i peccatori per i quali Cristo ha già faticato offrendo la sua vita. Allora coraggio, possiamo approfittare liberamente della sua Passione cogliendone il frutto della vita eterna perché possa operare in noi la libertà e la parresia per annunciare il Vangelo a ogni uomo, offrendo con la nostra vita un lembo di Shabbat, una porta aperta sul Regno di Dio dove i peccatori, deboli e sfiduciati, possano riposare nell'amore di Dio.
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