Il Signore questa Domenica ci annuncia che siamo “beati”. Attenzione, siamo “beati” per ciò che viviamo nel presente al quale è già legato indissolubilmente quello che gusteremo nel futuro. “Beati”, dunque, in questo momento, che abbraccia il presente qui sulla terra e il futuro nel Cielo, a cui possiamo credere proprio perché ne possiamo pregustare già qui la “beatitudine”. Essere “beati” allora non è solo una promessa, ma è la nostra identità autentica, ed è anche la missione alla quale ci chiama. Sì, perché la “beatitudine” è, soprattutto, un “invio” a vivere quello che siamo, ad annunciare e a testimoniare la “beatitudine” che Cristo compie in noi nella Chiesa.
“In ebraico la parola “ashrei” – felice – tradotta con “beato”, non allude a sentimenti, sensazioni, stati d’animo, nemmeno a tranquillità e appagamento. Indica, invece, un “dinamismo”, tanto che la parola “beato” si potrebbe tradurre con “cammino rinnovato in ogni momento” (M. Vidal). La tradizione ebraica ha compreso le Dieci Parole ricevute sul Sinai – i “comandamenti” – come il “cammino” della vita: terminano infatti con “Fa questo”, ovvero, cammina così, “e avrai la vita”.
Su un’altra montagna, quella che s’innalza dolce dalle rive del lago di Tiberiade, in piena Galilea immagine della terra di missione, e sulla quale il Signore risorto ha dato appuntamento ai suoi apostoli per inviarli ad annunciare il Vangelo, Gesù ha consegnato alla Chiesa sua Sposa il famoso Discorso in cui è tracciato il cammino della Nuova Alleanza; e l’ouverture che ne sintetizza i contenuti è composta proprio con le note delle “beatitudini”.
Oggi la Chiesa, nella quale il Signore “è tutti i giorni” con i discepoli, le consegna anche a noi, già compiute su un altro monte, il Golgota; sulla Croce, infatti, Gesù ha inciso con il suo sangue ogni “povertà di spirito”, “afflizione”, “fame di sete e giustizia”, “persecuzione a causa della giustizia”, “insulto” e “calunnia”, offrendo con “mitezza” ai suoi assassini la “misericordia” e la “pace” nel suo corpo; per questo ha ricevuto la “grande ricompensa” della resurrezione, la porta spalancata sull’autentica “terra” promessa, il Regno dei Cielo nel quale si è “saziato” di “consolazioni” nel “vedere” di nuovo il volto del Padre.
Gesù è il “Figlio di Dio” che ha “ereditato” per noi il destino eterno di felicità che ci offre gratuitamente nella Chiesa attraverso la “misericordia” che ci rigenera per vivere secondo la volontà di Dio, cioè “beati”. Cristo è risorto, primizia dei “beati”! Entrando con Lui nella morte anche noi sperimenteremo la sua stessa “beatitudine”. Non ce ne sono altre, perché nessuna di quelle che offre il mondo, nessuna di quelle che oggi speriamo è incorruttibile.
Che vuoi, guarire da una malattia? E chi non lo vorrebbe, e a volte Dio ce lo concede. Ma ci riammaleremo di nuovo. Se però nella malattia che ti “affligge” sperimenti già la “consolazione” di Cristo, che cioè è con-la tua solitudine e, abbracciandoti, ti fa distendere sulla Croce che “purifica” il tuo “cuore” da ogni menzogna del demonio per “vedere” il Padre tra le piaghe e i dolori, allora questa è la “beatitudine” vera, che non sfugge dalle mani, mai.
Come quella di due fidanzati che possono sperimentare le primizie del “Regno dei Cieli” nel pudore, nella libertà, nella sincerità, nel rispetto e nella castità in cui imparano il dono reciproco, mentre sono “perseguitati a causa della giustizia” del mondo e della carne che li vorrebbe sottomettere alla dittatura del desiderio. Come quella di due sposi che, “operando la pace” donata loro da Cristo risorto nel perdono che prende su di sé il peccato dell’altro, fosse anche un tradimento, sperimentano la libertà senza limiti dei “figli di Dio” che non hanno nulla da difendere perché vivono già l’anticipo della vita celeste che è l’amore di Cristo che distrugge le barriere del peccato e della morte.
Come quella di chi, “ammansiti”, cioè resi “miti” e senza pretese dinanzi alla storia e ai fratelli attraverso gli eventi dolorosi e difficili accettati perché illuminati nella Chiesa, “ereditano” in tutto e in tutti la “Terra” dove gustare il latte e il miele dell’amore e della misericordia di Dio. Allora coraggio fratelli, siamo “beati”, soprattutto quando “tutti” – anche chi ci è accanto ingannato dal demonio – ci ritengono dei “miserabili”, ovvero dei “pitocchi” e “rannicchiati per lo spavento” (secondo l’originale greco tradotto con “poveri”), cioè vigliacchi e inutili per aver creduto a Cristo e consegnato a Lui la vita.
Per questo “insulteranno” noi e i nostri figli al lavoro e a scuola, e “ci perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di noi per causa” sua. Ma sarà proprio in quei momenti che gusteremo sino in fondo la “beatitudine” che sa di Paradiso, così soave da farci “esultare”, come i martiri durante il supplizio.
Sì, perché la “fame di giustizia” che muove alla violenza il mondo dominato da satana e dalla sua ingiustizia, in noi è stata “saziata” dalla Giustizia di Cristo che ci ha amati così tanto da perdonarci e ricrearci in Lui; e ci ha fatto addirittura degni di assomigliargli nelle sofferenze, per ricevere nel Cielo – a cui crediamo e che attendiamo perché nella Chiesa ne stiamo pregustando l’amore – la sua stessa “ricompensa”, ovvero la vita eterna nell’eterna beatitudine.
Per questo saremo “beati”, cioè “profeti” che, dalla Croce che tutti sfuggono, annunciano la Terra che tutti desiderano, il Regno preparato per ogni uomo le cui primizie risplendono in noi. Non dobbiamo far nulla, solo essere quello che siamo, rinnovati, sostenuti e guidati dalla Chiesa, entrando in questo lunedì così come si presenterà, accomodandoci all’ultimo posto, il più vicino al Cielo, dove c’è già Cristo, la nostra “beatitudine”.
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