28/03/2015
Mercoledì 1 aprile alle 21.10 su Tv2000 le storie, le testimonianze e i documenti sull'invito che giunse dal Vaticano perché i monasteri di clausura romani si aprissero per chi fuggiva dai nazi-fascisti
ANDREA TORNIELLI Roma«Lo vuole il Papa». Un invito, più che un ordine vero e proprio. Ma un invito significativo, che può essere fatto risalire direttamente a Pio XII: quello di togliere la clausura ai conventi romani perché vi fossero accolti ebrei e altri perseguitati in fuga dai nazisti. È la storia che racconta il docu-film curato da Antonello Carvigiani, in onda mercoledì 1 aprile in prima serata su Tv2000. Lo spettatore non si trova di fronte al solito documentario, ma una storia che grazie a una colonna sonora coinvolgente, una fotografia e una regia curatissime (opera di Andrea Tramontano) lo «trasporta» dentro quattro dei conventi che nei terribili mesi successivi all'armistizio e fino alla Liberazione, accolsero i rifugiati.
La trama del docu-film non è la voce narrante, ma sono piuttosto le immagini e le testimonianze dalla viva voce di due sopravvissuti, all'epoca ragazzi, e soprattutto di alcune suore di clausura che hanno ascoltato dalle consorelle di allora quanto era accaduto. Al centro di «Lo vuole il Papa», non ci sono solo le testimonianze orali. La scelta del curatore si è concentrata sul monastero dei SS Quattro Coronati, del monastero di Santa Susanna, del monastero di Santa Maria dei Sette Dolori e della comunità dell'Istituto di Maria Bambina perché tra queste mura si conservano ancora diari e cronache manoscritte da coloro che ne furono le protagoniste. Tutte attestano che l'opera di carità, l'accoglienza dei perseguitati, avvenne su invito dei superiori. Le testimonianze scritte e orali fanno più volte
riferimento al Papa, ma anche al Vicariato di Roma o a monsignor Giovanni Battista Montini, Sostituto della Segreteria di Stato e strettissimo collaboratore di Pio XII.
L'intento del docu-film di Carvigiani non è apologetico, non intende riscrivere la storia. Semplicemente cerca di raccontarne un aspetto non ancora messo bene in luce. Dalle voci delle suore, che s'intersecano a quelle dei sopravvissuti e alle pagine dei diari, emergono squarci di vita quotidiana nei conventi della Roma invasa dai tedeschi. Con le monache che prestavano i loro abiti affinché i ragazzi ebrei potessero godere di un po' d'aria nei chiostri, apparendo a distanza, suore come le altre.
«Ogni giorno v'era una nuova richiesta - si legge nel diario di guerra della comunità di Maria Bambina - di tanto in tanto una telefonata della Segreteria di Stato di Sua Santità chiamava in Vaticano la M. Reverenda Provinciale ed il motivo era sempre lo stesso: un ricercato, una famiglia perseguitata da accogliere, proteggere, aiutare. Ai rappresentanti del Papa non si doveva dare un rifiuto...».
«Il tale frangente ebrei - fascisti - soldati - carabinieri e borghesi, cercavano rifugio negli istituti religiosi - si legge nel registro della cronaca del monastero di Santa Maria dei Sette Dolori - che con grave pericolo, aprono le porte per salvare vite umane. È questo il desiderio, ma senza obbligo dal Santo Padre Pio XII, che per primo riempie di rifugiati il Vaticano - la Villa di Castelgandolfo e S. Giovanni in Laterano».
Non s'è mai trovato un ordine scritto del Papa in proposito e con ogni probabilità mai si troverà. Ma il fatto che duecento tra conventi, istituti religiosi e monasteri di Roma abbiano aperto le loro porte e in qualche caso tolto la clausura per far entrare più di cinquemila perseguitati è il segno che un segnale dall'alto ci fu. «Il desiderio, ma senza obbligo», di Pio XII: ospitare degli ebrei o dei ricercati dai nazifascisti voleva dire esporsi ed esporre le altre religiose o gli altri religiosi al rischio della vita. Per questo non vi fu un ordine ma un invito, un desiderio. Quell'invito che Papa Pacelli aveva peraltro sempre reso pubblico, quando più volte nei suoi discorsi durante la guerra disse di essere contento di aver potuto aiutare le persone perseguitate. Già nel dicembre 1940, Pio XII, aveva dichiarato: «È di conforto per noi l’essere stati in grado di consolare, con l’assistenza morale e spirituale dei nostri rappresentanti e con l’obolo dei nostri sussidi, ingente numero di profughi, di espatriati, di emigrati, anche fra i “non ariani”». Il riferimento finale era agli ebrei.
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