Da un paio d'anni a questa parte, lo sappiamo, moltissimi genitori hanno avuto un brutto risveglio. Hanno scoperto che, a scuola, i loro figli vengono sottoposti a programmi che diffondono l'ideologia di genere; ovviamente senza il loro consenso (informato ma anche no). Con il pretesto di insegnare il rispetto e combattere il bullismo e le discriminazione, ai bambini viene insegnato che il mondo maschile e femminile sono solo una convenzione, per di più cattiva e pericolosa.
La reazione (tardiva, a mio parere) è stata comunque capillare e pugnace. Un buon segno, da un lato; significa che, a differenza di ciò che accade in altri paesi europei, gli italiani ai loro figli ci tengono. Un cattivo segno, dall'altro; perché la scuola è la linea del Piave, e se un concetto viene insegnato a scuola diventa, in pochi anni, patrimonio di tutto il Paese.
Questa reazione non avrebbe potuto passare inosservata e, soprattutto, indisturbata. Come era probabile, in queste ultime settimane sono arrivate diverse prese di posizione contro le reazioni all'ideologia di genere. Queste prese di posizione ruotano intorno a due affermazioni che ricorrono frequentemente.
1. «L'IDEOLOGIA DI GENERE NON ESISTE»
Il dottor Alberto Pellai, editorialista di Avvenire (clicca qui), ha scritto un post sul suo blog (clicca qui) chiedendo di mobilitarsi contro «l’ideologia di chi è contro l’ideologia del gender», definita «pericolosa e dannosa». Il dottor Pellai
racconta che da alcuni mesi, al termine delle sue numerose conferenze, «il dibattito è quasi sempre monopolizzato da persone che appartengono ai movimenti che si oppongono alla diffusione dell’ideologia gender nelle scuole e che lanciano forti allarmi chiedendo ai genitori presenti di fare molta attenzione perché nelle scuole italiane i nostri figli vengono avvicinati da programmi fortemente diseducativi che diffondono l’ideologia gender e che inducono l’omosessualità». L'allarme, scrive Pellai, è isterico e ingiustificato, perché l'ideologia di genere non esiste: «Io non conosco l’ideologia del gender e personalmente come padre di quattro figli io non l’ho mai incontrata sulla mia strada». Risposta che ricorda quella di Jurij Gagarin, astronauta sovietico, il quale disse che Dio non esiste perché nello spazio non l'aveva incontrato.
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche l'Associazione Italiana di Psicologia (clicca qui): «L’AIP ritiene opportuno intervenire per rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di «ideologia del gender». Italiani, state sereni: il concetto di “ideologia di genere” non ha consistenza scientifica, lo dice l'Associazione Italiana di Psicologia. «Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali)». I Gender Studies sì, che hanno consistenza scientifica: incomprensibili elucubrazioni di donne con evidenti difficoltà nei confronti del genere femminile (Butler, Fireston, Wittig, Rubin...), che hanno pensato bene di risolvere questi loro problemi personali dichiarando che il mondo si è sbagliato per millenni, e che i generi sessuali vanno semplicemente aboliti perché provocano loro disagio (Fedro ha mirabilmente dipinto questo atteggiamento nella favola La volpe e l'uva).
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche la rivista Wired (clicca qui): è solo «un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare "al lupo al lupo" e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe». Chiaro, no? L'ideologia di genere è uno spauracchio e, probabilmente, Judith Butler è uno pseudonimo del cardinale Bagnasco.
2. «GLI STEREOTIPI DI GENERE SONO DANNOSI»
Se per il dottor Pellai non esiste l'ideologia di genere, esistono invece gli «stereotipi di genere», ossia «quei condizionamenti educativi per cui alle nostre figlie viene insegnato che per avere successo come femmine conviene mostrarsi "ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy" e ai nostri figli maschi viene invece insegnato che mostrarsi machi, insensibili e potenti è il miglior modo per appropriarsi della loro identità di genere». Per aiutare i bambini a liberarsi dagli stereotipi di genere che li affliggono, il dottor Pellai ha scritto un libro destinato alle scuole.
Il libro del dottor Pellai non è l'unico strumento che le scuole hanno per combattere gli stereotipi di genere; esistono anche dei programmi appositi, ad esempio «Non sono una principessa. Educare al genere attraverso la lettura». Nella presentazione di questo programma si chiarisce che le «immagini stereotipate sono mutilanti per le bambine ma anche per i maschietti. La simmetria vuole, infatti, che se i maschi sono attivi e coraggiosi, le femmine non possono che essere passive e timide. Se le bambine sono affettuose e sensibili, ai maschi non rimane che essere violenti».
In sostanza, vediamo i ruoli di genere ridotti a ridicole macchiette: la femminilità consiste nel «mostrarsi ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy»; la virilità nel «mostrarsi machi, insensibili» e nell'essere violenti (del resto, «ai maschi non rimane altro che»). È il famosissimo artificio retorico detto “dell'uomo di paglia” o dello “spaventapasseri”: consiste nel rappresentare in modo caricaturale le argomentazioni dell'avversario in modo da confutarle facilmente. Le specificità femminili e maschili vengono ridotte a odiose caricature (gli uomini machi violenti, le donne ammiccanti e disponibili) che nessuno potrebbe condividere.
A questo punto non resta che condurre una battaglia di civiltà, e combattere questi dannosi e ridicoli stereotipi a partire dalla scuola, con opportuni programmi educativi; magari senza avvisare i genitori, perché sono loro a perpetuare quei malefici «condizionamenti educativi».
Va da sé che: separare la parte biologica della sessualità da quella psicologica, sociale e relazionale; definire quest'ultima come mero condizionamento culturale ed educativo; rappresentarla in modo grottesco e caricaturale al fine di eliminarla dalla società; inserire nelle scuole (senza il consenso dei genitori) programmi che abbiano questo fine, tutto questo è, precisamente quello che viene chiamato “ideologia di genere” (che, quindi, esiste eccome).
Opporsi all'ideologia di genere non significa sostenere che i maschi debbono essere violenti e le femmine sessualmente disponibili. Significa rifarsi ad una antropologia leggermente più ricca, che fa riferimento – ad esempio – a questi testi:
La reazione (tardiva, a mio parere) è stata comunque capillare e pugnace. Un buon segno, da un lato; significa che, a differenza di ciò che accade in altri paesi europei, gli italiani ai loro figli ci tengono. Un cattivo segno, dall'altro; perché la scuola è la linea del Piave, e se un concetto viene insegnato a scuola diventa, in pochi anni, patrimonio di tutto il Paese.
Questa reazione non avrebbe potuto passare inosservata e, soprattutto, indisturbata. Come era probabile, in queste ultime settimane sono arrivate diverse prese di posizione contro le reazioni all'ideologia di genere. Queste prese di posizione ruotano intorno a due affermazioni che ricorrono frequentemente.
1. «L'IDEOLOGIA DI GENERE NON ESISTE»
Il dottor Alberto Pellai, editorialista di Avvenire (clicca qui), ha scritto un post sul suo blog (clicca qui) chiedendo di mobilitarsi contro «l’ideologia di chi è contro l’ideologia del gender», definita «pericolosa e dannosa». Il dottor Pellai
racconta che da alcuni mesi, al termine delle sue numerose conferenze, «il dibattito è quasi sempre monopolizzato da persone che appartengono ai movimenti che si oppongono alla diffusione dell’ideologia gender nelle scuole e che lanciano forti allarmi chiedendo ai genitori presenti di fare molta attenzione perché nelle scuole italiane i nostri figli vengono avvicinati da programmi fortemente diseducativi che diffondono l’ideologia gender e che inducono l’omosessualità». L'allarme, scrive Pellai, è isterico e ingiustificato, perché l'ideologia di genere non esiste: «Io non conosco l’ideologia del gender e personalmente come padre di quattro figli io non l’ho mai incontrata sulla mia strada». Risposta che ricorda quella di Jurij Gagarin, astronauta sovietico, il quale disse che Dio non esiste perché nello spazio non l'aveva incontrato.
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche l'Associazione Italiana di Psicologia (clicca qui): «L’AIP ritiene opportuno intervenire per rasserenare il dibattito nazionale sui temi della diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane e per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di «ideologia del gender». Italiani, state sereni: il concetto di “ideologia di genere” non ha consistenza scientifica, lo dice l'Associazione Italiana di Psicologia. «Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari (dalla medicina alla psicologia, all’economia, alla giurisprudenza, alle scienze sociali)». I Gender Studies sì, che hanno consistenza scientifica: incomprensibili elucubrazioni di donne con evidenti difficoltà nei confronti del genere femminile (Butler, Fireston, Wittig, Rubin...), che hanno pensato bene di risolvere questi loro problemi personali dichiarando che il mondo si è sbagliato per millenni, e che i generi sessuali vanno semplicemente aboliti perché provocano loro disagio (Fedro ha mirabilmente dipinto questo atteggiamento nella favola La volpe e l'uva).
L'ideologia di genere non esiste, lo dice anche la rivista Wired (clicca qui): è solo «un’espressione usata dai cattolici (più conservatori) e dalla destra più reazionaria per gridare "al lupo al lupo" e creare consenso intorno a posizioni sessiste e omofobe». Chiaro, no? L'ideologia di genere è uno spauracchio e, probabilmente, Judith Butler è uno pseudonimo del cardinale Bagnasco.
2. «GLI STEREOTIPI DI GENERE SONO DANNOSI»
Se per il dottor Pellai non esiste l'ideologia di genere, esistono invece gli «stereotipi di genere», ossia «quei condizionamenti educativi per cui alle nostre figlie viene insegnato che per avere successo come femmine conviene mostrarsi "ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy" e ai nostri figli maschi viene invece insegnato che mostrarsi machi, insensibili e potenti è il miglior modo per appropriarsi della loro identità di genere». Per aiutare i bambini a liberarsi dagli stereotipi di genere che li affliggono, il dottor Pellai ha scritto un libro destinato alle scuole.
Il libro del dottor Pellai non è l'unico strumento che le scuole hanno per combattere gli stereotipi di genere; esistono anche dei programmi appositi, ad esempio «Non sono una principessa. Educare al genere attraverso la lettura». Nella presentazione di questo programma si chiarisce che le «immagini stereotipate sono mutilanti per le bambine ma anche per i maschietti. La simmetria vuole, infatti, che se i maschi sono attivi e coraggiosi, le femmine non possono che essere passive e timide. Se le bambine sono affettuose e sensibili, ai maschi non rimane che essere violenti».
In sostanza, vediamo i ruoli di genere ridotti a ridicole macchiette: la femminilità consiste nel «mostrarsi ammiccanti, disponibili, magari anche molto sexy»; la virilità nel «mostrarsi machi, insensibili» e nell'essere violenti (del resto, «ai maschi non rimane altro che»). È il famosissimo artificio retorico detto “dell'uomo di paglia” o dello “spaventapasseri”: consiste nel rappresentare in modo caricaturale le argomentazioni dell'avversario in modo da confutarle facilmente. Le specificità femminili e maschili vengono ridotte a odiose caricature (gli uomini machi violenti, le donne ammiccanti e disponibili) che nessuno potrebbe condividere.
A questo punto non resta che condurre una battaglia di civiltà, e combattere questi dannosi e ridicoli stereotipi a partire dalla scuola, con opportuni programmi educativi; magari senza avvisare i genitori, perché sono loro a perpetuare quei malefici «condizionamenti educativi».
Va da sé che: separare la parte biologica della sessualità da quella psicologica, sociale e relazionale; definire quest'ultima come mero condizionamento culturale ed educativo; rappresentarla in modo grottesco e caricaturale al fine di eliminarla dalla società; inserire nelle scuole (senza il consenso dei genitori) programmi che abbiano questo fine, tutto questo è, precisamente quello che viene chiamato “ideologia di genere” (che, quindi, esiste eccome).
Opporsi all'ideologia di genere non significa sostenere che i maschi debbono essere violenti e le femmine sessualmente disponibili. Significa rifarsi ad una antropologia leggermente più ricca, che fa riferimento – ad esempio – a questi testi:
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